Il miglior tentativo di classificazione dei simboli apparsi sulle schede o anche solamente presentati in occasione delle elezioni risale al 1994, quando i due creativi ed esperti di design Carlo Branzaglia (oggi docente all'Accademia di Belle Arti di Bologna) e Gianni Sinni (grafico, per anni gestore del sito SocialDesignZine) diedero alle stampe per l'editore Tosca il volume Partiti! Guida alla grafica politica della Seconda Repubblica.
I due esperti colsero, certamente con cognizione di causa, un momento chiave della storia politica italiana, ma anche di quella dei simboli politici in Italia: quell'anno si registrò il primato mai eguagliato di simboli presentati e ammessi alle elezioni politiche (ben 312, senza contare anche quelli non accettati o sostituiti), dopo che l'introduzione del colore nella stampa delle schede, avvenuta due anni prima, aveva già fatto lievitare il numero degli emblemi presentati.
Branzaglia e Sinni, con la complicità di altre figure di primo piano del loro mondo (Giovanni Anceschi, Renato Barilli, Giovanni Baule, Aldo Colonetti, Gianni Lombardi, Mario Piazza, Oliviero Toscani), si presero la briga di analizzare i simboli principali, per poi dividere gli altri in categorie tra l'acuto e il geniale: «vegetali», «bestiali», «W la gente», «maneschi» (per la presenza di mani), «creativi», «naïf» (disegnati a mano), «architettonici» (per la presenza di elementi architettonici), «Bell’Italia» (riferimenti a singole parti del Paese), «cartografici», «marinari», «arcobaleni», «stellari», «bilanciati», «tipografici» e «informali».
La tassonomia simbolico-politica è proseguita nel 2008, quando il solo Gianni Sinni, sul sito SDZ, ha aggiunto alle categorie già viste quelle denominate «Grilli per la testa» (che citano più o meno a sproposito Beppe Grillo), «Special FX» (realizzati riproducendo immagini fotografiche) e «tecnologici» (per il loro riferimento alla Rete o a materiali reperibili su Internet). Ce n'è per tutti i gusti. E anche i disgusti, qualora prevalgano.
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