Alla fine, rivoluzione sarà. Antonio Ingroia e gli altri "arancioni" devono avere considerato troppo barricadera e violenta la denominazione "Rivolta democratica" e hanno preferito l'altra alternativa, scegliendo per il loro nuovo soggetto politico il non meno forte concetto di "Rivoluzione". Che, però, non è più definita "democratica", visto che alla fine si è scelto di battezzarla piuttosto "civile": sarà che l'altro aggettivo era un po' abusato (tra il Pd e la nuova formazione di Donadi e Tabacci c'era rischio di confondersi, magari di essere affiancato), sarà che si è voluto calcare la mano anche su una buona dose di legalità che il programma dovrebbe avere, sta di fatto che si è preferito dirsi "civili", anche perché la democraticità dovrebbe essere sottintesa, in fondo.
L'arancione c'è ancora, ma nel contrassegno finale che proprio poco fa è stato ufficializzato è piuttosto sfumato, niente a che vedere con il colore "carico" che aveva accompagnato le prime prove simboliche dei giorni scorsi. Proprio dove la tinta di fondo scema, campeggia a caratteri cubitali il nome di Ingroia, che a questo punto deve aver accettato di essere indicato come capo della coalizione e, dunque, potenziale Presidente del Consiglio. A qualcuno l'idea di indicare il nome sull'emblema non è piaciuta molto o, per lo meno, è risultata poco comprensibile: "troppo nero e troppo personalismo" si legge in alcuni commenti della prim'ora su Facebook, mentre altri - che magari conoscono meglio la legge elettorale - apprezzano e manifestano già intenzioni di voto.
Sotto al nome, non ci sono più le due mani a dita incrociate, quella sorta di doppio "saluto lupetto" che univa due segni di vittoria o formava il simbolo del "cancelletto" (o di un hashtag di Twitter, vai a saperlo): la sagoma rossa, inconfondibile, è quella del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, un capolavoro dell'arte divisionista, ma soprattutto un simbolo storico per la sinistra italiana. Non a caso, in Rivoluzione civile sono compresi anche i due partiti maggiori della "sinistra estrema", ossia Rifondazione comunista e i Comunisti italiani, che certamente avranno manifestato gradimento per quella raffigurazione, se non l'hanno addirittura ispirata.
Finora non si sono registrati contrassegni che abbiano sfruttato il forte potere iconografico di quell'opera d'arte (mentre in altri casi certi dipinti sono stati presi tali quali e proiettati sullo sfondo di contrassegni, valga per tutti il Tondo Doni di Michelangelo, sfruttato dalla lista "Difesa della famiglia" alle ultime elezioni politiche). Una rappresentazione simile, per assurdo, la si era vista nel 1996 in un contrassegno di una non meglio precisata "Destra di popolo" (a sostegno di un illustre carneade come Mario Crucianelli), con la donna che invece del bambino reggeva una borsetta.
Per vedere altri cumuli indistinti di persone, che abbiano avuto per lo meno un certo successo, occorre tornare sicuramente alla Rete di Leoluca Orlando (con disegno di Diego Novelli), dunque alla prima metà degli anni Novanta. Non a caso, Orlando sostiene anche Rivoluzione civile; allora però il sottotitolo scelto all'interno del simbolo era "Movimento per la democrazia" (e, bisogna pure notarlo, quelle silhouette di persone che si affacciavano nell'emblema erano sorridenti), questa volta invece i toni sono molto più accesi e francamente si sorride molto meno (non che ci fosse molto da ridere anche allora). Sarà pure lento l'incedere del popolo, ma l'immagine scelta è potente e non manca di colpire; se colpirà anche gli elettori, è ancora un po' presto per dirlo.
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