Capita anche questo. Può capitare che, nel bel mezzo della seduta di oggi a Palazzo Madama in cui si discute dell'Italicum e non si sono ancora spenti i fuochi delle polemiche (e dei bruciori di stomaco) legati all'emendamento Esposito, scattante come un supercanguro, all'improvviso si apra un dibattito sui simboli elettorali, grazie a un altro emendamento che - paradossalmente - non contiene nemmeno la parola "contrassegni".
Si tratta, per i maniaci dell'ordine e della precisione, dell'emendamento 1.12165: il numero dice poco, il presentatore - Ugo Sposetti, tesoriere e legale rappresentante dei Democratici di sinistra anche nella lunga fase seguente alla loro inattività politica - può dire moltissimo. Se non altro perché lo stesso Sposetti si è interessato a lungo di regolazione dei partiti (era sua una delle proposte di legge più attente della passata legislatura, la n. 3809 della Camera), pur non avendo gradito appieno la soluzione adottata circa un anno fa, tra dicembre e febbraio (infatti non la votò).
In ogni caso, l'emendamento citato si va a innestare sull'art. 1, comma 7 del disegno di legge n. 1385, che a sua volta modificherebbe il primo comma dell'art. 14 del testo unico per l'elezione della Camera (e che si applica per relationem anche al Senato, ovviamente finché il Senato esiste). Dopo la modifica proposta da Sposetti, l'articolo sarebbe diventato così (l'aggiunta è quella sottolineata, in corsivo sono le parti aggiunte o modificate dal resto dell'art. 1 comma 7):
I partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare liste di candidati nei collegi plurinominali, debbono depositare presso il Ministero dell'interno il proprio statuto di cui all'art. 3, del decreto legge 28 dicembre 2013, n. 149 il contrassegno col quale dichiarano di voler distinguere le liste medesime nei singoli collegi plurinominali. All'atto del deposito del contrassegno deve essere indicata la denominazione del partito o del gruppo politico organizzato.
Ora, a parte una piccola incongruenza formale (manca una "e" alla fine dell'emendamento o, per lo meno, una virgola che renda la frase masticabile, ma il problema non si pone), la questione sul tavolo è: vuoi partecipare alle elezioni? Allora non depositare solo il simbolo (e il programma), ma anche lo statuto. E non uno statuto qualunque, ma quello richiesto dalla legge che ha (gradualmente) sostituito i rimborsi elettorali con finanziamenti diretti e indiretti ai partiti. Che ne possono godere a patto di avere - appunto - uno statuto che contenga quanto previsto da quell'art. 3 e che abbia (particolare di peso) la forma dell'atto pubblico.
E' stato lo stesso senatore Sposetti - Incalzato dal collega M5S Vito Crimi, secondo il quale la modifica prevedeva "l'obbligo di presentazione di uno strumento che è obbligatorio solo per quelle forze politiche che vogliono accedere" al finanziamento - a illustrare, in aula, il contenuto del suo emendamento. Un'illustrazione condivisa con Luciano Uras di Sel, che ha fatto proprio quell'emendamento, dopo che lo stesso Sposetti l'aveva ritirato, visto il parere negativo dato in prima battuta dal governo. Vale la pena prendere il testo del resoconto, per un po' di righe.
Sposetti: Ora, noi ci accingiamo a votare una norma che definisce le procedure per l'elezione della Camera dei deputati, e in questa norma è molto volte ripetuta la parola «partiti». Ma oggi noi non sappiamo che cos'è un partito [...]; non sappiamo come si svolge la vita interna di un partito; non sappiamo come vive un partito. Non abbiamo ancora attuato l'articolo 49 della Costituzione, quindi mi sembrava logico che noi inserissimo che, per presentare una lista per l'elezione della Camera dei deputati, fosse stabilita una procedura. Quando qualcuno deposita il simbolo, c'è un lavoro enorme del Ministro dell'interno, che deve fare una selezione dei simboli. Tra l'altro, due cittadini possono depositare due simboli identici creando un problema alla magistratura amministrativa. [...] Signora Presidente, l'estensore della legge qui citata - non me ne voglia il collega Quagliariello - ci ha parlato, quasi che fosse la norma risolutiva della crisi della rappresentanza in Italia, un anno fa: aveva scritto la norma tra Natale e Santo Stefano, e il 28 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge. Ma una settimana fa il collega Quagliariello ci ha spiegato che la norma non ha funzionato.
Uras: [...] bisogna ogni tanto ricordare a noi stessi cosa sono e cosa hanno rappresentato i partiti nella storia di questo Paese. E bisogna ricordare perché nella nostra Costituzione è stata regolata, all'articolo 49, l'esistenza delle associazioni libere nelle quali ogni cittadino ha diritto di organizzarsi per svolgere la propria attività politica. Quell'articolo esiste perché quella Costituzione nasce da una vicenda nella quale i partiti, tutti i partiti tranne uno, sono stati cancellati dalla vita politica di questo Paese. [...] Oggi viviamo questo momento, un po' turbolento e un po' difficile, e stiamo parlando di una legge elettorale [...] in cui i partiti scompaiono e appaiono le liste, forse anche i listoni. E, badate, le liste non sono i partiti, hanno anche altri significati, si compongono anche in altre maniere, hanno anche altre finalità. Quindi vale la pena che tutti quanti noi si faccia un ragionamento su come deve essere applicato l'articolo 49 della Costituzione, sul suo diritto di esistere, sulla necessità anche di dare a questo Paese delle regole, affinché la vita politica possa svolgersi in modo organizzato e non in modo confuso, come in questo periodo, affinché nelle organizzazioni politiche sia sancito un meccanismo attraverso il quale sia misurabile la democrazia interna, sia garantito l'esercizio del diritto di tutti a professare la propria idea senza avere ostacoli e senza essere puniti e penalizzati.
Per qualcuno l'occasione è ghiotta per dire che non tutte le forze in parlamento hanno un regolamento interno all'organizzazione che ne garantisca la democraticità del funzionamento interno", MoVimento 5 Stelle compreso (e non è un caso che l'osservazione sia venuta da un ex come Francesco Campanella di Italia lavori in corso, con gli applausi degli altri ex di Movimento X). A questo punto, però, la questione sembra la seguente: può un'associazione non riconosciuta (la si chiami normalmente partito o no) partecipare alle elezioni se non deposita lo statuto?
Per Gaetano Quagliariello la risposta è no: "Laddove si richiede la presentazione dello statuto per poter accedere al due per mille, per la stessa ragione, nel momento delle elezioni, bisognerebbe dare le stesse garanzie". Per lui i partiti restano liberi, ma è importante dare garanzie di democraticità, specie mentre di discute "di un disegno di legge elettorale che più che sulle coalizioni è basato sui partiti o anche sugli accordi e le federazioni tra i partiti".
Ma allora, se l'idea è di escludere chi lo statuto non ce l'ha, chi si vuole lasciare fuori? Chi pensa al MoVimento 5 Stelle sbaglia obiettivo, perché uno statuto stipulato per atto pubblico (anche se lacunoso) ce l'ha (e Crimi non manca di farlo notare alla fine). Il vero obiettivo in realtà sta in un rapido passaggio del discorso di Sposetti e mostra di coglierlo in pieno il forzista Giacomo Caliendo, che si esprime a favore:
"nel momento in cui abbiamo realizzato la forma partito [...], come facciamo a non garantire che vi sia l'impossibilità che si ripeta nel futuro quello che è avvenuto nel passato? L'utilizzazione di simboli da parte di altri non legittimati. Abbiamo necessità di identificare la formazione di quel determinato partito, che ha l'espressione di quelli che sono gli appartenenti a quell'area politica, per esprimere la lista, le candidature e tutto il resto".
E' dunque questa, probabilmente, la vera chiave di lettura dell'emendamento: rendere la vita più difficile agli usurpatori di contrassegni altrui e agli imitatori di professione. E, a questo punto, non si può non lasciare la parola a Roberto Calderoli e alla sua lunga esperienza fatta di file davanti al Viminale e di furbetti del simbolino:
Dal 1992 io mi incarico per conto del partito che rappresento di andare a depositare i simboli alle varie competizioni elettorali.Nel 1992 si dovevano trascorrere le notti in bianco per garantirsi un posto, in modo da non consentire ad altri di presentare delle liste o simboli apocrifi. Negli anni successivi si è avuta una diversa regolamentazione da parte del Ministero dell'interno, ma da quest'anno si è ritornati ai tempi in cui bisognava passare le notti in bianco (quest'anno solo tre, per le elezioni europee).E ancora una volta sono stati depositati i simboli apocrifi della Lega, del Movimento 5 Stelle e dei Fratelli d'Italia, con l'apertura di una procedura di giorni per stabilire se due allegri compagnoni avessero solo portato un simbolo ovvero, come è capitato al nostro partito, se qualcuno avesse depositato un simbolo pretendendo che la moglie venisse candidata in un collegio con elezione sicura per accettare di ritirare il simbolo che aveva depositato.Quindi, questo emendamento mi sembra di assoluto buon senso. Qui, però, non si vuole capire: o ci si fa, o ci si è; oppure, ci si fa e ci si è. Questo emendamento, infatti, compoprta la regolarizzazione del deposito dei simboli e della vita di un partito che, come giustamente ricordava il collega Sposetti, attende ancora di essere definita da qualcuno nei suoi particolari.Io vorrei, infatti, pretendere, per i prossimi anni, che chi presenta un simbolo per ricattare o mettere in difficoltà non possa più farlo. Quindi, io sottoscrivo l'emendamento 1.12165 e lo voterò convintamente. E sollecito il Governo perché, se un emendamento dice che l'acqua calda, esprima parere favorevole, perché l'acqua calda resta calda ugualmente.
Valeva la pena gustarsi il racconto, che è certamente genuino, pur non essendo privo di comprensibili imprecisioni. Un po' perché in realtà le regole non sono davvero cambiate dal 1992 al 2014, un po' perché i cosiddetti "apocrifi" leghisti, stellati e fratellitaliani sono datati 2013 (senza contare che il discorso mette insieme un po' di tutto, dal M5S diabolicamente truffaldino scovato in Sicilia ai Fratelli d'Italia siciliani che però esistevano sul serio prima di Meloni e La Russa e di fatto si sono visti interdire il nome). Ed era sempre del 2013 - ma la scottatura dà ancora fastidio - la disavventura subita da Prima il Nord!, simbolo che faceva il verso alla Lega, ma era stato presentato ad molestandum da Diego Volpe Pasini, che riuscì a far candidare con il Carroccio la moglie friulana Sara Papinutto in Emilia Romagna (senza riuscire a farla eleggere).
Restano in chiusura interessanti dibattiti tra il forzista Donato Bruno (contrario alla modifica) e Sposetti sull'opportunità di applicare la regola, oltre che ai partiti, alle liste (anzi, ai "listoni" che di fatto il nuovo premio induce a fare), ma è di nuovo Sposetti a parlare del deposito dei simboli proprio in risposta a Calderoli, in modo non meno incisivo e coreografico rispetto al collega:
C'è un punto delicato: il collega Calderoli ha posto un problema relativamente ai simboli. Voi non avete idea di cosa significhi andare al Ministero dell'interno alle ore 8,00 di mattina, quando già da tre ore si fa la fila per essere i primi a presentare il simbolo. Questo perché accade, collega Quagliariello? Perché noi abbiamo scritto due righe sul riconoscimento giuridico del partito. Se ci fosse stato, si sarebbe saputa l'appartenenza di un simbolo e nessun altro lo può presentare. Oggi è una discussione tra soggetti diversi, chi presenta il simbolo e il bravo funzionario del Ministero dell'interno. Calderoli sa perché abbiamo fatto la fila: lui per difendere il simbolo della Lega e, io dopo la costituzione del Partito Democratico, per impedire che 30 soggetti che si erano riuniti dichiarassero di essere loro i democratici di sinistra. Io ho dovuto seguire tutte le consultazioni elettorali perché depositavano il simbolo dei democratici di sinistra. Siccome non c'era il riconoscimento giuridico, ad ogni elezione devi essere pronto ad andare presso la Corte d'appello o il TAR per intervenire. Queste sono cose di buonsenso; perché non le dobbiamo normare? [...]. Perché dobbiamo rivolgerci sempre a un magistrato? Il magistrato risolve il problema di chi è il simbolo. Ma vi sembra normale che sia un magistrato, non so di dove, che decide che quel simbolo è di quel partito o soggetto giuridico? Scusate la passione con cui parlo di questa cosa. Ho sofferto, insieme ad altri colleghi, la non disciplina della normativa che riguarda i partiti. Siccome noi cambiamo la normativa per eleggere la Camera dei deputati, facciamo in modo che quel soggetto sappia quello che deve fare.
Anche qui gli episodi di vita vissuta si vedono tutti, in particolare il contenzioso (non ancora terminato) con Antonio Corvasce e altri barlettesi che ritenevano di continuare a rappresentare i Democratici di sinistra: se nel 2008 Sposetti non aveva fatto depositare il simbolo (ma, per sua fortuna, il Viminale e la Cassazione avevano bocciato i concorrenti comunque), nelle tre elezioni nazionali successive è sempre andato personalmente o ha mandato una sua collaboratrice a provvedere, giusto per evitare sorprese.
A mettere altra carne al fuoco ha provveduto la ministra Maria Elena Boschi, che - a motivo del dibattito che in aula c'è stato - ha rimosso il parere contrario del governo, facendo però un'osservazione dedicata al tema simboli:
Rispetto ai rilievi che sono stati poi sollevati sia dal senatore Sposetti che dal senatore Bruno circa la possibilità che, attraverso questo emendamento, si eviti il rischio che più soggetti possano presentare uno stesso simbolo, non sono del tutto convinta che questo testo sia risolutivo, perché ovviamente nulla vieta che più soggetti abbiano lo stesso simbolo e anche uno statuto che in qualche modo li legittima a presentare il simbolo. Sicuramente sono elementi che necessitano di una disciplina puntuale, anche per potere stabilire chi ha un diritto precedente all'utilizzo di quel simbolo, ma a mio avviso non possono essere affrontati in questa sede, nell'ambito della legge elettorale.
Ora, l'emendamento nato Sposetti e proseguito Uras e altri, è stato approvato dall'aula di Palazzo Madama con un'ampia maggioranza (si parla di 257 sì e 8 no) e, in fondo, questo non stupisce. A parte chi aveva e ha a cuore l'attuazione dell'art. 49 Cost. (almeno a parole), è chiaro che tutti i presenti avevano e hanno l'interesse a non veder messo a rischio l'uso esclusivo dei loro contrassegni elettorali. Tanto più che - come si è visto - tanto Sposetti, quanto i gruppi di Lega e M5S (che alla fine dovrebbe aver votato a favore) di dispute e agguati simbolici ne sapevano qualcosa.
Si è data a questo post una struttura insolita, piuttosto lunga e ricca di materiale, in modo che ciascuno potesse farsi un'idea sulle due domande fondamentali, che sono chiaramente legate: per presentare un simbolo occorrerà per forza depositare uno statuto? Basterà questa modifica a scoraggiare disturbatori e luciferi simbolici?
La risposta richiede di pensarci sopra almeno un attimo. Le norme sui partiti, nate tra il 2013 e il 2014, spiegano che "partiti politici" - almeno per quelle stesse fonti che si occupano soprattutto del finanziamento - sono "i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo" delle Camere, del Parlamento europeo o dei consigli regionali, oltre alle formazioni che possano contare almeno su un gruppo parlamentare, una componente del gruppo misto (o anche un solo eletto, anche in Europa, se si è partecipato a un contrassegno composito, avendo già depositato il proprio emblema prima).
La legge, in particolare, precisava che dotarsi di uno statuto nella forma dell'atto pubblico era onere dei partiti "che intendono avvalersi dei benefici" previsti dalle norme, soprattutto i regimi di contribuzione diretta e indiretta. L'obbligo, però, aveva solo implicazioni finanziarie: se mancava uno statuto conforme, dunque, ci si rimetteva in denaro ma la porta delle elezioni restava aperta. Ora invece, a leggere la nuova formulazione dell'art. 14, comma 1 del testo unico Camera, sembra proprio che lo statuto sia una condizione necessaria anche per partecipare alle elezioni e, a monte, anche solo per depositare il simbolo.
Il fatto che sia la norma del TU Camera, sia quella della legge sul finanziamento ai partiti facciano riferimento - oltre che ai partiti - ai "gruppi politici" sembra accomunare i partiti storici alle formazioni più estemporanee, richiedendo che anche queste siano assoggettate agli stessi obblighi. Tradotto in soldoni: a) per concorrere serve uno statuto, magari non ancora vagliato dall'apposita commissione ma ci vuole, per cui la spesa del notaio va messa in conto; b) nel momento in cui c'è uno statuto, con il simbolo allegato (almeno in descrizione), c'è - come notava il senatore leghista Stefano Candiani - anche una data certa, cui fare riferimento.
Ora, pur comprendendo le intenzioni per cui la norma verrebbe introdotta, il primo punto non sembra in grado di debellare davvero i disturbatori simbolici: è vero, la parcella del notaio può essere una scocciatura che fa desistere qualcuno, ma i veri professionisti del tranello elettorale lo statuto lo preparavano già prima (bisognava pur dimostrare che il partito esisteva), passavano dal notaio e al Viminale lo portavano eccome. E' più interessante il secondo punto, visto che in effetti gli atti notarili hanno una data e si potrebbe stabilire una sorta di priorità; si dimentica però che si deve depositare lo statuto e non l'atto costitutivo, e che formalizzare ora dal notaio lo statuto di un'associazione nata vent'anni fa non sposta avanti il suo orologio di due decenni, perché la data di nascita resta la stessa.
Insomma, prescrivere il deposito dello statuto nella forma dell'atto pubblico può scoraggiare qualcuno, ma non risolve tutti i problemi. Anche perché è vero che allo statuto è allegato il simbolo, ma il Ministero dell'interno e gli altri organi preposti dovranno continuare a valutare la confondibilità in concreto dei simboli presentati. E allora - per dirla con nomi e cognomi - anche con le nuove regole Volpe Pasini vincerebbe ancora sulla Lega Nord, se il Carroccio non inserisse all'interno del suo emblema la locuzione "Prima il Nord!": Viminale e Cassazione, infatti, non hanno visto nessun rischio concreto di confondibilità. Morale, la norma si può anche inserire, con la certezza che davanti al Viminale ci sarà meno spettacolo. Eppure la sorpresa potrà sempre capitare e, nel caso, sarà ancora più bruciante, per tutti.
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