(segue dalla prima parte)
Una tappa importante nel cammino tormentato dei socialisti in Italia, raccontata da Carlo Correr nel suo libro Una lunga marcia, è rappresentata dalla nascita dei Socialisti democratici italiani, il 10 maggio 1998.
Nell'ambito delle formazioni socialiste della Seconda Repubblica, l'etichetta dello Sdi è forse quella che è durata maggiormente (quella del ricostituito Partito socialista, tra una manciata di mesi, potrebbe eguagliare il record); il percorso per arrivare a quel risultato, tuttavia, non era stato affatto semplice e, anzi, in nome di quell'obiettivo si erano registrate spaccature e scaramucce che avevano aumentato il già consistente tasso di litigiosità tra ex compagni di garofano.
Si è già detto che, mentre i Socialisti italiani nel 1996 si federarono con Rinnovamento italiano, senza presentare il proprio simbolo, altri socialisti avevano scelto di organizzarsi al di fuori del centrosinistra, tentando di riallacciare i legami con la tradizione più recente. Dall'unione del Partito socialista riformista (di Fabrizio Cicchitto ed Enrico Manca: da lì veniva il sole nascente accoppiato al libro), della Sinistra liberale (di Maurizio Sacconi) e dei Liberalsocialisti (in cui Margherita Boniver e Ugo Intini si riconoscevano) era rinato il Partito socialista: esso aveva una chiara ispirazione craxiana (benché lo stesso Craxi li avesse sconfessati) e, se il Si era rimasto volutamente lontano da ogni segno legato al passato, il Ps esibiva con orgoglio un mazzo di garofani. Alle elezioni del 1996 quello fu l'unico simbolo dichiaratamente socialista (anche se il Viminale costrinse il Ps a rinunciare alla parola Partito e alla doppia corona rossa, nonché ad allargare il mazzo di fiori, per evitare che qualcuno si confondesse con il "vecchio" Psi): "Il fatto che non ci fossero altri garofani consentì a Intini e agli altri di avere buoni risultati, per lo meno nei luoghi in cui si presentarono - ricorda Correr - e non fu affatto semplice, visto che non avevano fondi a disposizione, né alcuna struttura per raccogliere le firme, a differenza del Si".
Nel 1997 Intini e Boselli vollero comunque tentare di rimettere insieme i cocci del mondo socialista presenti da una parte e dall'altra dello schieramento, in vista delle elezioni amministrative di quell'anno. Ci provarono con i Socialisti italiani uniti, una mediazione politica, nominale e anche grafica: in più di un luogo - a partire da Milano - si accostarono il garofano prima maniera di Ettore Vitale (con un gambo allungato alla bisogna) e una stranissima rosa, quasi disegnata a stencil, segno dell'accostamento delle due diverse famiglie di socialisti. "Anche quello fu un compromesso grafico - ammette Correr - e nemmeno quello portò bene, come tutti i compromessi, del resto".
L'esperienza, come si è detto, andò maluccio, ma pose le premesse per l'inizio di una nuova storia, quella dello Sdi, costruito soprattutto a partire dal Si, dalla parte dei Ps che aveva seguito Intini nella volontà di riunificare i socialisti (la parte più vicina a Gianni De Michelis si sarebbe stabilita nel centrodestra) e dai socialdemocratici di Gianfranco Schietroma. In quell'occasione si ripescò una rosa, ma non quella dell'anno prima e nemmeno quella del 1994, bensì quella legata al Partito socialista europeo: "Quella scelta fu fatta - spiega Correr - anche perché, nello stesso periodo, i Ds appena nati quasi si vergognavano di mostrare la propria appartenenza al Pse, avevano la stessa rosa nel simbolo ma si guardavano bene dal chiamarsi 'socialisti': noi invece, mettendo il fiore in grande evidenza, volevamo ricordare agli elettori che in Italia eravamo gli unici a rappresentare il socialismo europeo con tutte le carte in regola". Il fatto che l'emblema non fosse originale ma mutuato dalla famiglia europea non lo fece avvertire a nessuno come "straniero": "Mettere la rosa del Pse consentiva di evitare imbarazzi legati al garofano, così come la dicitura 'Socialisti democratici italiani' consentiva di comprendere nel partito anche chi proveniva dal Ps e dal Psdi: fu una buona soluzione, in cui in tanti si potevano riconoscere".
Il problema di superare lo sbarramento del 4% alle elezioni politiche, tuttavia, era rimasto e si continuò la politica delle alleanze, anche quando risultavano poco plausibili. Proprio il ritratto di quella "sintesi tra ambientalismo e riformismo" che voleva essere in origine il Girasole, ossia il cartello elettorale messo in piedi dallo Sdi con la Federazione dei Verdi (e che inizialmente doveva comprendere anche il Pdci di Diliberto, ma i socialisti si misero di traverso). "Viste le alleanze precedenti, le alternative rimaste erano ben poche - ricorda Correr - e paradossalmente il Girasole è stata quella più strumentale e meno spiegata di tutte. Ci furono liti sul programma e scontri continui anche tra le due anime interne ai Verdi, quella ambientalista e quella 'ex demoproletaria'; l'alleanza fu mal digerita dagli stessi dirigenti dei partiti e non c'è da stupirsi che l'esperimento non sia andato oltre le elezioni, visto il 2,2% raccolto, del tutto insoddisfacente".
Quella vicenda simbolica, peraltro, merita di essere raccontata a parte e lascio direttamente la parola al libro di Correr:
Se il Girasole era stato vissuto essenzialmente come un passaggio burocratico e ben poco sentito, doveva essere diverso il discorso nel 2006 per La Rosa nel Pugno, che fin dall'inizio non era stata pensata come un cartello, ma come un progetto duraturo. "Credo sia stata la più combattuta, ma anche la più 'metabolizzata' delle alleanze - ricorda Correr -. Dentro allo Sdi e ai Radicali italiani la componente 'fusionista' è sempre stata forte storicamente, c'è sempre stato molto dibattito e molto ragionamento nelle scelte fatte assieme ai radicali. Per me e per altri quella è stata l'ultima opportunità che i socialisti, in quanto tali, hanno avuto per una 'trasmutazione', per fare qualcosa di davvero nuovo, era realmente promettente e avanzata. Come avvenne con il cartello coi Verdi, tuttavia, tanto tra i radicali quanto tra i socialisti c'erano componenti fortemente contrarie all'operazione (a qualche socialista non andava giù la troppa laicità radicale, a certi radicali non piaceva la nostra organizzazione e 'burocrazia' interna) e non hanno collaborato".
Archiviata la Rosa nel Pugno, nel 2008 si è tentata la corsa solitaria, con il cattivo risultato di cui si è detto nella prima parte (non era andata meglio nel 2009 con il cartello di Sinistra e libertà alle europee, un insuccesso elettorale condito da litigi). Nel 2013 in effetti il Psi è riuscito a riaffacciarsi in Parlamento, ma senza presentare proprie liste: la rappresentanza è arrivata grazie all'inserimento di candidati nelle liste del Pd. Secondo Correr il partito è diviso "tra il tentativo di mantenere l'apparenza di un'esistenza, quella del simbolo tradizionale, e un processo sostanziale di assimilazione all'interno di un altro partito, in forme che appaiono né lineari né trasparenti".
Nel frattempo, dal 2005, lo Sdi prima e il Psi poi sono titolari - in forza di un atto notarile a firma dell'allora liquidatore del Psi - del simbolo storico del garofano: c'è mai stata la tentazione di utilizzarlo? "Tra gli iscritti e i simpatizzanti c'è chi lo vorrebbe - riconosce Correr - una parte della base prova indubbiamente nostalgia e il sentimento potrebbe crescere con l'avanzare di un 'nuovo indistinto', anche se servirebbe un indagine statistica seria per capire le dimensioni del fenomeno. I vertici di partito degli ultimi anni, invece, a tornare al garofano non ci hanno proprio pensato, credo si sia lontani anni luce dalla tentazione di provare a vedere come l'elettorato potrebbe rispondere. Usare un vecchio simbolo, del resto, non significa affatto essere quel partito". Nel finale della "lunga marcia dei socialisti" raccontata da Correr, dunque, non sembra esserci posto per il garofano, se non nel cuore di chi si è identificato in quel fiore e nel mondo che riassumeva in sé.
Una tappa importante nel cammino tormentato dei socialisti in Italia, raccontata da Carlo Correr nel suo libro Una lunga marcia, è rappresentata dalla nascita dei Socialisti democratici italiani, il 10 maggio 1998.
Nell'ambito delle formazioni socialiste della Seconda Repubblica, l'etichetta dello Sdi è forse quella che è durata maggiormente (quella del ricostituito Partito socialista, tra una manciata di mesi, potrebbe eguagliare il record); il percorso per arrivare a quel risultato, tuttavia, non era stato affatto semplice e, anzi, in nome di quell'obiettivo si erano registrate spaccature e scaramucce che avevano aumentato il già consistente tasso di litigiosità tra ex compagni di garofano.
Si è già detto che, mentre i Socialisti italiani nel 1996 si federarono con Rinnovamento italiano, senza presentare il proprio simbolo, altri socialisti avevano scelto di organizzarsi al di fuori del centrosinistra, tentando di riallacciare i legami con la tradizione più recente. Dall'unione del Partito socialista riformista (di Fabrizio Cicchitto ed Enrico Manca: da lì veniva il sole nascente accoppiato al libro), della Sinistra liberale (di Maurizio Sacconi) e dei Liberalsocialisti (in cui Margherita Boniver e Ugo Intini si riconoscevano) era rinato il Partito socialista: esso aveva una chiara ispirazione craxiana (benché lo stesso Craxi li avesse sconfessati) e, se il Si era rimasto volutamente lontano da ogni segno legato al passato, il Ps esibiva con orgoglio un mazzo di garofani. Alle elezioni del 1996 quello fu l'unico simbolo dichiaratamente socialista (anche se il Viminale costrinse il Ps a rinunciare alla parola Partito e alla doppia corona rossa, nonché ad allargare il mazzo di fiori, per evitare che qualcuno si confondesse con il "vecchio" Psi): "Il fatto che non ci fossero altri garofani consentì a Intini e agli altri di avere buoni risultati, per lo meno nei luoghi in cui si presentarono - ricorda Correr - e non fu affatto semplice, visto che non avevano fondi a disposizione, né alcuna struttura per raccogliere le firme, a differenza del Si".
Nel 1997 Intini e Boselli vollero comunque tentare di rimettere insieme i cocci del mondo socialista presenti da una parte e dall'altra dello schieramento, in vista delle elezioni amministrative di quell'anno. Ci provarono con i Socialisti italiani uniti, una mediazione politica, nominale e anche grafica: in più di un luogo - a partire da Milano - si accostarono il garofano prima maniera di Ettore Vitale (con un gambo allungato alla bisogna) e una stranissima rosa, quasi disegnata a stencil, segno dell'accostamento delle due diverse famiglie di socialisti. "Anche quello fu un compromesso grafico - ammette Correr - e nemmeno quello portò bene, come tutti i compromessi, del resto".
L'esperienza, come si è detto, andò maluccio, ma pose le premesse per l'inizio di una nuova storia, quella dello Sdi, costruito soprattutto a partire dal Si, dalla parte dei Ps che aveva seguito Intini nella volontà di riunificare i socialisti (la parte più vicina a Gianni De Michelis si sarebbe stabilita nel centrodestra) e dai socialdemocratici di Gianfranco Schietroma. In quell'occasione si ripescò una rosa, ma non quella dell'anno prima e nemmeno quella del 1994, bensì quella legata al Partito socialista europeo: "Quella scelta fu fatta - spiega Correr - anche perché, nello stesso periodo, i Ds appena nati quasi si vergognavano di mostrare la propria appartenenza al Pse, avevano la stessa rosa nel simbolo ma si guardavano bene dal chiamarsi 'socialisti': noi invece, mettendo il fiore in grande evidenza, volevamo ricordare agli elettori che in Italia eravamo gli unici a rappresentare il socialismo europeo con tutte le carte in regola". Il fatto che l'emblema non fosse originale ma mutuato dalla famiglia europea non lo fece avvertire a nessuno come "straniero": "Mettere la rosa del Pse consentiva di evitare imbarazzi legati al garofano, così come la dicitura 'Socialisti democratici italiani' consentiva di comprendere nel partito anche chi proveniva dal Ps e dal Psdi: fu una buona soluzione, in cui in tanti si potevano riconoscere".
Il problema di superare lo sbarramento del 4% alle elezioni politiche, tuttavia, era rimasto e si continuò la politica delle alleanze, anche quando risultavano poco plausibili. Proprio il ritratto di quella "sintesi tra ambientalismo e riformismo" che voleva essere in origine il Girasole, ossia il cartello elettorale messo in piedi dallo Sdi con la Federazione dei Verdi (e che inizialmente doveva comprendere anche il Pdci di Diliberto, ma i socialisti si misero di traverso). "Viste le alleanze precedenti, le alternative rimaste erano ben poche - ricorda Correr - e paradossalmente il Girasole è stata quella più strumentale e meno spiegata di tutte. Ci furono liti sul programma e scontri continui anche tra le due anime interne ai Verdi, quella ambientalista e quella 'ex demoproletaria'; l'alleanza fu mal digerita dagli stessi dirigenti dei partiti e non c'è da stupirsi che l'esperimento non sia andato oltre le elezioni, visto il 2,2% raccolto, del tutto insoddisfacente".
Quella vicenda simbolica, peraltro, merita di essere raccontata a parte e lascio direttamente la parola al libro di Correr:
Lo stesso simbolo elettorale nascerà al termine di un parto estenuante e dolorosissimo, fatto di interminabili riunioni e di una serie lunghissima di bozzetti bocciati all’ultimo momento. Un lavoro massacrante di mediazione e infiniti rifacimenti grafici, che per lo SDI poggerà soprattutto sulle spalle del responsabile della segreteria di Boselli, Emanuele Pecheux, un compagno della direzione stimato per la sua disciplinata fedeltà al partito, reduce del vecchio PSI di via del Corso, forse l’unico capace di non smarrire la pazienza per strada. A spuntarla saranno sostanzialmente i Verdi e Carlo Ripa di Meana, già europarlamentare ed esponente di spicco del PSI con Craxi, e in seguito portavoce dei Verdi, chioserà acidamente: 'Un simbolo transgenico!'. Nel cerchio il simbolo storico del ‘Sole che ride’ e la scritta 'VERDI', sovrasteranno anche graficamente lo rosa socialista europea e la scritta 'SDI' mentre nella metà inferiore della circonferenza la scritta ‘IL GIRASOLE’ segnerà l’ultimo punto a favore degli ambientalisti avendo inserito nella lettera ‘O’ un nuovo 'Sole che ride' [in realtà era un girasolino, sempre e comunque legato ai Verdi, ndb]. Il braccio di ferro lascerà uno strascico doloroso che non aiuterà certo a raccogliere voti.Per amore del vero, se di quel 2,2% raccolto circa metà poteva attribuirsi ai Socialisti democratici italiani, quindi poco più dell'1%, non andò troppo meglio al Nuovo Psi, evoluzione del Ps rimasto nelle mani di De Michelis (con l'unione della Lega socialista di Bobo Craxi, almeno in una prima fase) e collocato "in asilo politico" nella Casa delle libertà: il partito si fermò allo 0,95% e non riuscì nemmeno a portare a casa il finanziamento pubblico per quella tornata elettorale. Andò un po' meglio nel 2004, alle europee, quando sulle schede il garofano di Ettore Vitale senza gambo divenne simbolo dei Socialisti uniti per l'Europa (cartello cui partecipò anche Unità socialista di Claudio Signorile), fu l'unico emblema espressamente socialista e portò a casa il 2%.
Se il Girasole era stato vissuto essenzialmente come un passaggio burocratico e ben poco sentito, doveva essere diverso il discorso nel 2006 per La Rosa nel Pugno, che fin dall'inizio non era stata pensata come un cartello, ma come un progetto duraturo. "Credo sia stata la più combattuta, ma anche la più 'metabolizzata' delle alleanze - ricorda Correr -. Dentro allo Sdi e ai Radicali italiani la componente 'fusionista' è sempre stata forte storicamente, c'è sempre stato molto dibattito e molto ragionamento nelle scelte fatte assieme ai radicali. Per me e per altri quella è stata l'ultima opportunità che i socialisti, in quanto tali, hanno avuto per una 'trasmutazione', per fare qualcosa di davvero nuovo, era realmente promettente e avanzata. Come avvenne con il cartello coi Verdi, tuttavia, tanto tra i radicali quanto tra i socialisti c'erano componenti fortemente contrarie all'operazione (a qualche socialista non andava giù la troppa laicità radicale, a certi radicali non piaceva la nostra organizzazione e 'burocrazia' interna) e non hanno collaborato".
Archiviata la Rosa nel Pugno, nel 2008 si è tentata la corsa solitaria, con il cattivo risultato di cui si è detto nella prima parte (non era andata meglio nel 2009 con il cartello di Sinistra e libertà alle europee, un insuccesso elettorale condito da litigi). Nel 2013 in effetti il Psi è riuscito a riaffacciarsi in Parlamento, ma senza presentare proprie liste: la rappresentanza è arrivata grazie all'inserimento di candidati nelle liste del Pd. Secondo Correr il partito è diviso "tra il tentativo di mantenere l'apparenza di un'esistenza, quella del simbolo tradizionale, e un processo sostanziale di assimilazione all'interno di un altro partito, in forme che appaiono né lineari né trasparenti".
Nel frattempo, dal 2005, lo Sdi prima e il Psi poi sono titolari - in forza di un atto notarile a firma dell'allora liquidatore del Psi - del simbolo storico del garofano: c'è mai stata la tentazione di utilizzarlo? "Tra gli iscritti e i simpatizzanti c'è chi lo vorrebbe - riconosce Correr - una parte della base prova indubbiamente nostalgia e il sentimento potrebbe crescere con l'avanzare di un 'nuovo indistinto', anche se servirebbe un indagine statistica seria per capire le dimensioni del fenomeno. I vertici di partito degli ultimi anni, invece, a tornare al garofano non ci hanno proprio pensato, credo si sia lontani anni luce dalla tentazione di provare a vedere come l'elettorato potrebbe rispondere. Usare un vecchio simbolo, del resto, non significa affatto essere quel partito". Nel finale della "lunga marcia dei socialisti" raccontata da Correr, dunque, non sembra esserci posto per il garofano, se non nel cuore di chi si è identificato in quel fiore e nel mondo che riassumeva in sé.
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