7 giugno 2016: non una data storica, forse, ma che i veri drogati di politica (© Livio Ricciardelli) dovrebbero segnarsi sui loro calendari. Da quel giorno alla Camera è ufficialmente rappresentato il Ppa, acronimo di Partito pensiero e azione: il nome appare come etichetta di una componente del gruppo misto, il cui nome preciso è "Movimento Ppa - Moderati". La tentazione sarebbe quella di ricollegare il secondo gruppo ai Moderati di Giacomo Portas - anche in base ai collegamenti suggeriti da certe notizie presenti in rete - ma la smentisce in profondo Antonio Piarulli, fondatore e leader del movimento politico: "la componente parlamentare - precisa - è stata costituita su mandato conferito da me ai quei parlamentari, non ad altri, mentre Portas appartiene a un altro gruppo".
In realtà, si tratta di un ritorno: già il 18 gennaio 2012, infatti, il Ppa aveva provato l'ebbrezza di affacciarsi sempre a Montecitorio e sempre all'interno di una componente del misto, affiancato in quel caso a Grande Sud di Gianfranco Miccichè, non a caso parte di quella compagine parlamentare; partita di nove componenti, la brigata è poi arrivata a dieci unità e così è stato fino a fine legislatura. Nonostante ciò, tanto nel 2012 quanto oggi, allo sbarco del Ppa in Parlamento, anche i notisti politici più scafati, interrogati su quale partito fosse e chi lo rappresentasse, sapevano e sanno dire ben poco; i più preparati, al più, sanno che quel progetto politico era legato proprio a Piarulli - "dottore in scienze politiche, potentino, classe 1961", annotava Cesare Maffi di Italia Oggi all'inizio di giugno - ma si fermavano lì.
La storia, per sicurezza, ce la facciamo raccontare dallo stesso Piarulli, contattato apposta per capire qualcosa di più: "Ppa - spiega - nasce nel 2002 come associazione di amici e professionisti; nel febbraio 2004 divenne un vero movimento politico, con il quale io mi candidai come presidente della provincia di Torino in quello stesso anno. Ripetei la stessa esperienza nel 2009, l'anno prima però presentai il mio simbolo alle elezioni politiche, io ero il capo della forza politica e presentai una lista nella sola circoscrizione Piemonte 1; nel 2013 ho fatto altrettanto, presentando la lista in quel caso nella circoscrizione Piemonte 2".
Cosa aveva spinto Piarulli e i suoi amici a creare il partito? "Avevamo un elemento programmatico fondamentale, che abbiamo mantenuto: tentare di frapporci all'azione pervasiva del sistema politico che mirava a fare fuori il pluralismo democratico. La nostra battaglia continua ancora oggi, andiamo avanti finché possiamo". E se non vi sembra abbastanza chiaro, date uno sguardo al blog di Piarulli (che pure è fermo da tre anni) e scoprirete che Ppa "si rivolge a tutti coloro che avvertono l’esigenza di un impegno nel solco delle tradizioni ispirate ai valori della democrazia, della libertà e della solidarietà, con l’ambizione di tradurre la crescita dell’economia in progresso e giustizia per tutti, senza esclusione per una comunità nazionale più equa, più ricca e più libera".
In realtà, si tratta di un ritorno: già il 18 gennaio 2012, infatti, il Ppa aveva provato l'ebbrezza di affacciarsi sempre a Montecitorio e sempre all'interno di una componente del misto, affiancato in quel caso a Grande Sud di Gianfranco Miccichè, non a caso parte di quella compagine parlamentare; partita di nove componenti, la brigata è poi arrivata a dieci unità e così è stato fino a fine legislatura. Nonostante ciò, tanto nel 2012 quanto oggi, allo sbarco del Ppa in Parlamento, anche i notisti politici più scafati, interrogati su quale partito fosse e chi lo rappresentasse, sapevano e sanno dire ben poco; i più preparati, al più, sanno che quel progetto politico era legato proprio a Piarulli - "dottore in scienze politiche, potentino, classe 1961", annotava Cesare Maffi di Italia Oggi all'inizio di giugno - ma si fermavano lì.
La storia, per sicurezza, ce la facciamo raccontare dallo stesso Piarulli, contattato apposta per capire qualcosa di più: "Ppa - spiega - nasce nel 2002 come associazione di amici e professionisti; nel febbraio 2004 divenne un vero movimento politico, con il quale io mi candidai come presidente della provincia di Torino in quello stesso anno. Ripetei la stessa esperienza nel 2009, l'anno prima però presentai il mio simbolo alle elezioni politiche, io ero il capo della forza politica e presentai una lista nella sola circoscrizione Piemonte 1; nel 2013 ho fatto altrettanto, presentando la lista in quel caso nella circoscrizione Piemonte 2".
Cosa aveva spinto Piarulli e i suoi amici a creare il partito? "Avevamo un elemento programmatico fondamentale, che abbiamo mantenuto: tentare di frapporci all'azione pervasiva del sistema politico che mirava a fare fuori il pluralismo democratico. La nostra battaglia continua ancora oggi, andiamo avanti finché possiamo". E se non vi sembra abbastanza chiaro, date uno sguardo al blog di Piarulli (che pure è fermo da tre anni) e scoprirete che Ppa "si rivolge a tutti coloro che avvertono l’esigenza di un impegno nel solco delle tradizioni ispirate ai valori della democrazia, della libertà e della solidarietà, con l’ambizione di tradurre la crescita dell’economia in progresso e giustizia per tutti, senza esclusione per una comunità nazionale più equa, più ricca e più libera".
Un progetto simile cercò di farsi strada con un simbolo davvero minimal: la sigla (addirittura puntata, come non si vedeva dai tempi del Pci) in font bastoni bianca, su fondo blu e con il motto "libertà è partecipazione". "E' vero, scegliemmo un emblema di basso profilo - ammette oggi Piarulli - perché non intendevamo lanciare la nuova sigla, ma il contenuto delle nostre idee: volevamo, insomma, che la gente leggesse il nostro progetto, senza fermarsi a un simbolo artefatto. Nel nome, del resto, c'era il cuore del nostro disegno: 'Libertà è partecipazione' è chiaramente ispirato alla canzone di Giorgio Gaber, mentre 'Pensiero e azione' è palesemente debitore di Mazzini, l'ispirazione ce l'ha data lui". Nel 2004, 2008 e 2009, in effetti, il simbolo è rimasto immutato; nelle bacheche del Viminale nel 2013, tuttavia, è finita una versione rinnovata, con un restyling che ha almeno in parte esplicitato il nome del partito, ha inserito le scritte "Partito della gente per la gente" e "piazza pulita" e, graficamente, ha dato un po' di colore e tridimensionalità al marchio elettorale.
Nel 2004, a dire il vero, c'era stato l'esordio elettorale "in proprio" di Piarulli, ma per la sua prima candidatura occorre andare indietro di tre anni: "In effetti ero stato candidato alla Camera nel 2001 - ricorda ora - perché Democrazia europea, il partito fondato da Sergio D'Antoni, mi volle candidare nel collegio uninominale Torino 5. Il tutto si svolse in circostanze incredibili: capitai a un comizio in cui parlavano Giulio Andreotti e Pippo Baudo e loro dissero 'qui c'è il dottor Piarulli che sarà nostro candidato in Piemonte!'... ero arrivato lì come uditore e me ne andai in un'altra veste!".
Quella volta Piarulli ottenne 1176 voti (l'1,67%), che diventarono 1869 (0,15%) quando nel 2004 si candidò alla guida della provincia di Torino; al nuovo tentativo di cinque anni dopo andò meno bene, perché dovette accontentarsi di 994 voti (lo 0,09%). Alle elezioni politiche del 2008, in compenso, ne erano arrivati solo 946; nel 2013 è andata sicuramente meglio, eppure non sono bastati 1526 voti piemontesi per far schiodare il dato percentuale dallo 0,00%.
Quei numeri, tuttavia, sono stati sufficienti per portare due volte il Ppa in Parlamento: non all'indomani delle elezioni, ovviamente, ma in un secondo tempo, quando qualcuno ne ha avuto bisogno. La spiegazione si trova in alcune disposizioni del regolamento della Camera: per sommi capi, occorrono almeno 20 deputati per costituire un gruppo, altrimenti i singoli devono aderire al gruppo misto; per dare peso anche a forze medio-piccole, tuttavia, si è consentita dal 1997 in poi la formazione di componenti all'interno del misto. Non è solo questione di visibilità (che pure non guasta): nel regolamento si legge che "le dotazioni e i contributi assegnati al Gruppo misto sono determinati" in base "al numero e alla consistenza delle componenti politiche in esso costituite": personale e fondi vanno ripartiti tra queste componenti "in ragione delle esigenze di base comuni e della consistenza numerica di ciascuna componente". In soldoni, le componenti hanno diritto a uffici e a risorse per personale da assumere, cosa di cui i singoli deputati non potrebbero disporre: in questo modo, ad esempio, si può dare lavoro a qualche collaboratore in più (o, a contrario, lasciarne a casa qualcuno in meno se si passa da gruppo a componente del misto).
Perché una componente si possa costituire, tuttavia, il regolamento richiede che questa conti su almeno 10 deputati e non tutti i partiti ci riescono; il numero può scendere a 3 purché, tra l'altro, i deputati in questione rappresentino un partito certamente esistente alle ultime elezioni politiche e che abbia presentato liste per la Camera, "anche congiuntamente con altri", abbia cioè utilizzato il proprio simbolo anche congiunto. Ora, tanto la pattuglia di Miccichè nel 2012 (almeno in una prima fase), quanto quella dei parlamentari oggi non arrivavano a dieci deputati: per costituire una componente all'interno del misto serviva un accordo tecnico di rappresentanza con un partito che aveva partecipato alle elezioni col suo simbolo. Il Ppa, che aveva corso in una sola circoscrizione nel 2008 e nel 2013, aveva tutti i crismi per consentire l'operazione (non li avevano, per la cronaca, i Moderati di Portas, perché avevano presentato liste solo al Senato e non alla Camera).
Altro dettaglio in comune tra le due esperienze, in entrambi i casi sono stati i parlamentari che hanno poi costituito le componenti a contattare Piarulli per proporre la mossa. Se i vantaggi per i richiedenti sono abbastanza chiari, quali sono quelli per il Ppa e il suo fondatore? "Vede, - chiarisce - io sono un folle della politica, per fortuna esistiamo, e ho un grande sogno: poter dare un contributo alto alle istituzioni per tentare di fermare questo declino. L'idea di poter essere presente alla Camera e praticare la politica alta in luoghi alti mi spinge ad accettare operazioni come queste". Dunque il tutto si riduce a una questione di visibilità e di contributo programmatico all'azione parlamentare? Nessun vantaggio di natura economica? "Guardi, voglio essere chiaro: io non piglio un euro per questo accordo. Quando lo dico c'è chi mi dà del folle o, peggio, del pirla, ma credo che la politica debba essere qualcosa di alto, qualcosa che non può venire da chi persegue il suo interesse economico".
Nel 2004, a dire il vero, c'era stato l'esordio elettorale "in proprio" di Piarulli, ma per la sua prima candidatura occorre andare indietro di tre anni: "In effetti ero stato candidato alla Camera nel 2001 - ricorda ora - perché Democrazia europea, il partito fondato da Sergio D'Antoni, mi volle candidare nel collegio uninominale Torino 5. Il tutto si svolse in circostanze incredibili: capitai a un comizio in cui parlavano Giulio Andreotti e Pippo Baudo e loro dissero 'qui c'è il dottor Piarulli che sarà nostro candidato in Piemonte!'... ero arrivato lì come uditore e me ne andai in un'altra veste!".
Quella volta Piarulli ottenne 1176 voti (l'1,67%), che diventarono 1869 (0,15%) quando nel 2004 si candidò alla guida della provincia di Torino; al nuovo tentativo di cinque anni dopo andò meno bene, perché dovette accontentarsi di 994 voti (lo 0,09%). Alle elezioni politiche del 2008, in compenso, ne erano arrivati solo 946; nel 2013 è andata sicuramente meglio, eppure non sono bastati 1526 voti piemontesi per far schiodare il dato percentuale dallo 0,00%.
Quei numeri, tuttavia, sono stati sufficienti per portare due volte il Ppa in Parlamento: non all'indomani delle elezioni, ovviamente, ma in un secondo tempo, quando qualcuno ne ha avuto bisogno. La spiegazione si trova in alcune disposizioni del regolamento della Camera: per sommi capi, occorrono almeno 20 deputati per costituire un gruppo, altrimenti i singoli devono aderire al gruppo misto; per dare peso anche a forze medio-piccole, tuttavia, si è consentita dal 1997 in poi la formazione di componenti all'interno del misto. Non è solo questione di visibilità (che pure non guasta): nel regolamento si legge che "le dotazioni e i contributi assegnati al Gruppo misto sono determinati" in base "al numero e alla consistenza delle componenti politiche in esso costituite": personale e fondi vanno ripartiti tra queste componenti "in ragione delle esigenze di base comuni e della consistenza numerica di ciascuna componente". In soldoni, le componenti hanno diritto a uffici e a risorse per personale da assumere, cosa di cui i singoli deputati non potrebbero disporre: in questo modo, ad esempio, si può dare lavoro a qualche collaboratore in più (o, a contrario, lasciarne a casa qualcuno in meno se si passa da gruppo a componente del misto).
Perché una componente si possa costituire, tuttavia, il regolamento richiede che questa conti su almeno 10 deputati e non tutti i partiti ci riescono; il numero può scendere a 3 purché, tra l'altro, i deputati in questione rappresentino un partito certamente esistente alle ultime elezioni politiche e che abbia presentato liste per la Camera, "anche congiuntamente con altri", abbia cioè utilizzato il proprio simbolo anche congiunto. Ora, tanto la pattuglia di Miccichè nel 2012 (almeno in una prima fase), quanto quella dei parlamentari oggi non arrivavano a dieci deputati: per costituire una componente all'interno del misto serviva un accordo tecnico di rappresentanza con un partito che aveva partecipato alle elezioni col suo simbolo. Il Ppa, che aveva corso in una sola circoscrizione nel 2008 e nel 2013, aveva tutti i crismi per consentire l'operazione (non li avevano, per la cronaca, i Moderati di Portas, perché avevano presentato liste solo al Senato e non alla Camera).
Altro dettaglio in comune tra le due esperienze, in entrambi i casi sono stati i parlamentari che hanno poi costituito le componenti a contattare Piarulli per proporre la mossa. Se i vantaggi per i richiedenti sono abbastanza chiari, quali sono quelli per il Ppa e il suo fondatore? "Vede, - chiarisce - io sono un folle della politica, per fortuna esistiamo, e ho un grande sogno: poter dare un contributo alto alle istituzioni per tentare di fermare questo declino. L'idea di poter essere presente alla Camera e praticare la politica alta in luoghi alti mi spinge ad accettare operazioni come queste". Dunque il tutto si riduce a una questione di visibilità e di contributo programmatico all'azione parlamentare? Nessun vantaggio di natura economica? "Guardi, voglio essere chiaro: io non piglio un euro per questo accordo. Quando lo dico c'è chi mi dà del folle o, peggio, del pirla, ma credo che la politica debba essere qualcosa di alto, qualcosa che non può venire da chi persegue il suo interesse economico".
In effetti, almeno un vantaggio Piarulli nel 2013 sperava di averlo. Nel 2008 erano state raccolte, probabilmente con fatica, le firme necessarie per presentare la lista in Piemonte 1, mentre erano stati sollevati dall'onere - per decreto - tutti i partiti che potevano contare su almeno due parlamentari, i quali avessero appunto dichiarato di rappresentare quella particolare forza politica: questo aveva consentito, per esempio, di correre senza firme al Pli di Stefano De Luca, grazie alla dichiarazione di rappresentanza resa dai repubblicani Giorgio La Malfa e Francesco Nucara (eletti in Forza Italia), che mesi prima avevano fondato con Giovanni Ricevuto la componente "Repubblicani, liberali, riformatori". Visto che anche quelle del 2013 tecnicamente sarebbero state elezioni anticipate (sia pure di pochi giorni), Piarulli aveva immaginato che la stessa esenzione generalizzata si ripetesse alla fine della XVI legislatura, così aveva preparato liste da presentare in tutta l'Italia, senza bisogno di sottoscrizioni; le cose però andarono diversamente.
"Probabilmente in origine si pensava di ripetere quanto fatto nel 2008 - ricorda Piarulli - ma il governo Monti nel decreto tagliafirme esentò solo le componenti politiche che esistevano dall'inizio della legislatura, riducendo invece le sottoscrizioni necessarie in generale della metà e del 60% per i gruppi presenti almeno in una delle due Camere; quando il decreto fu convertito, si scelse di richiedere a tutti solo un quarto delle firme previste dalla legge, non dovute soltanto dai partiti presenti con gruppo in entrambi i rami del Parlamento". Perché si fece quella scelta? "Tra l'entrata in vigore del decreto e la sua conversione, al Senato nacque il gruppo di Fratelli d'Italia e l'atto costitutivo del partito risulta successivo al decreto di scioglimento delle Camere: forse sarebbe parso abnorme concedere l'esenzione totale pure a loro. Resta il fatto che, di tutte le liste che avevo preparato, riuscii a presentare solo quella in Piemonte 2 perché solo lì riuscimmo a raccogliere le firme".
Impossibile ora sapere se si voterà in anticipo, difficile dire se alle prossime elezioni Ppa avrà agevolazioni sulle firme (e, secondo Piarulli, non dovrebbe avere nessun vantaggio il partito dei Moderati, perché quelli presenti nel nome della componente sarebbero solo "moderati", con la minuscola...). Non è azzardato, però, pensare che nessuno dei tre aderenti alla componente Ppa - Moderati (Nello Formisano, Marco Di Lello, Raffaele Di Gioia, il primo con una storia politica profondamente diversa rispetto agli altri) parteciperà alla prossima sfida elettorale sotto le insegne del partito di Piarulli, così com'era capitato con Micciché e gli altri di Grande Sud nel 2013.
Per questo l'articolo di Maffi su Italia Oggi si intitola "Il Ppa funziona anche come taxi": un'etichetta che ai drogati di politica dovrebbe far accendere una lampadina. Viene alla mente infatti il commento che Andrea Manzella scrisse sulla Repubblica dopo l'ordinanza del tribunale di Roma sulla guerra totale tra i sostenitori di Rocco Buttiglione e quelli di Gerardo Bianco all'interno del Ppi. Allora il titolo era "Se il partito diventa un taxi..." e l'ex funzionario parlamentare se la prendeva con l'interpretazione data dal giudice che consentiva a Buttiglione, "sfiduciato" dal consiglio nazionale sulla linea politica da seguire, di non dimettersi dalla segreteria pur dovendo attuare la linea fissata dal consiglio, contro cui lui si era posto. Qui la questione è diversa, ma sempre di stranezza si tratta. Intanto, però, il Ppa di Piarulli è tornato in Parlamento e conta di rimanerci fino alla fine della legislatura.
"Probabilmente in origine si pensava di ripetere quanto fatto nel 2008 - ricorda Piarulli - ma il governo Monti nel decreto tagliafirme esentò solo le componenti politiche che esistevano dall'inizio della legislatura, riducendo invece le sottoscrizioni necessarie in generale della metà e del 60% per i gruppi presenti almeno in una delle due Camere; quando il decreto fu convertito, si scelse di richiedere a tutti solo un quarto delle firme previste dalla legge, non dovute soltanto dai partiti presenti con gruppo in entrambi i rami del Parlamento". Perché si fece quella scelta? "Tra l'entrata in vigore del decreto e la sua conversione, al Senato nacque il gruppo di Fratelli d'Italia e l'atto costitutivo del partito risulta successivo al decreto di scioglimento delle Camere: forse sarebbe parso abnorme concedere l'esenzione totale pure a loro. Resta il fatto che, di tutte le liste che avevo preparato, riuscii a presentare solo quella in Piemonte 2 perché solo lì riuscimmo a raccogliere le firme".
Impossibile ora sapere se si voterà in anticipo, difficile dire se alle prossime elezioni Ppa avrà agevolazioni sulle firme (e, secondo Piarulli, non dovrebbe avere nessun vantaggio il partito dei Moderati, perché quelli presenti nel nome della componente sarebbero solo "moderati", con la minuscola...). Non è azzardato, però, pensare che nessuno dei tre aderenti alla componente Ppa - Moderati (Nello Formisano, Marco Di Lello, Raffaele Di Gioia, il primo con una storia politica profondamente diversa rispetto agli altri) parteciperà alla prossima sfida elettorale sotto le insegne del partito di Piarulli, così com'era capitato con Micciché e gli altri di Grande Sud nel 2013.
Per questo l'articolo di Maffi su Italia Oggi si intitola "Il Ppa funziona anche come taxi": un'etichetta che ai drogati di politica dovrebbe far accendere una lampadina. Viene alla mente infatti il commento che Andrea Manzella scrisse sulla Repubblica dopo l'ordinanza del tribunale di Roma sulla guerra totale tra i sostenitori di Rocco Buttiglione e quelli di Gerardo Bianco all'interno del Ppi. Allora il titolo era "Se il partito diventa un taxi..." e l'ex funzionario parlamentare se la prendeva con l'interpretazione data dal giudice che consentiva a Buttiglione, "sfiduciato" dal consiglio nazionale sulla linea politica da seguire, di non dimettersi dalla segreteria pur dovendo attuare la linea fissata dal consiglio, contro cui lui si era posto. Qui la questione è diversa, ma sempre di stranezza si tratta. Intanto, però, il Ppa di Piarulli è tornato in Parlamento e conta di rimanerci fino alla fine della legislatura.
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