Quando la notizia, domenica scorsa, era arrivata nelle redazioni, le parole che più hanno circolato nella testa di molti cronisti e commentatori sono state "leggerezza" e "sgambetto". La leggerezza, almeno in parte, era stata di Roberto Speranza, Enrico Rossi e Arturo Scotto, che prima di affiancare per la loro nuova creatura politica gli aggettivi "democratico" e "progressista" avrebbero fatto meglio a controllare se altri lo avessero fatto prima di loro. Lo sgambetto, pur se giuridicamente fondato, a voler pensare almeno un po' male - secondo la nota massima del cardinale Mazzarino, per cui si fa peccato ma di solito ci si azzecca - sembra attribuibile a Ernesto Carbone, deputato Pd di stretta fede renziana che sul nome "Democratici progressisti" può vantare un titolo di primazia e sembra ben deciso a farlo valere nei confronti dei fuoriusciti dal partito.
Varie testate - a partire dall'Huffington Post - oggi hanno scritto che Carbone, assieme al deputato Ferdinando Aiello e a Giuseppe Giudiceandrea, hanno fatto inviare dall'avvocato Valerio Zicaro una lettera, indirizzata ai presidenti delle Camere e ai nuovi capigruppo del Movimento dei democratici e progressisti, Francesco Laforgia e Maria Cecilia Guerra, con cui si invita a "modificare la denominazione" dei gruppi parlamentari, al momento unico soggetto esistente come reale proiezione della forza politica in costruzione (e sul quale è piuttosto difficile agire giudizialmente, visto che la denominazione dei gruppi può essere considerato un atto interno, su cui i giudici non hanno giurisdizione).
Nella lettera si legge che Carbone, Aiello e Giudiceandrea sono "rappresentanti e titolari del movimento e del gruppo politico Democratici Progressisti, facente parte, a pieno titolo, del Partito Democratico", movimento che - come già ricordato in questo sito - ha presentato liste alle elezioni regionali calabresi del 2014, eleggendo tre consiglieri, compreso Giudiceandrea che è presidente del relativo gruppo consiliare. Su queste basi, per gli scriventi sarebbe "evidente [...] che la denominazione del nuovo gruppo parlamentare [...] e la sua, eventuale, utilizzazione, anche al di fuori del Parlamento, si palesa illegittima giacché contiene il nome ed il contrassegno di un movimento e di un gruppo politico già esistente e presente nelle istituzioni rappresentative". Il nome, dunque, mancherebbe di capacità distintiva e di novità, essendo "palesemente confondibile con il corrispondente nome del movimento esistente e riproduttivo dei suoi elementi caratterizzanti": Speranza e gli altri dovrebbero quindi modificare il nome e non usare più quello adottato da pochi giorni, altrimenti partiranno azioni legali "in ogni sede".
Non si è naturalmente fatta attendere la risposta di Mdp, attraverso Danilo Leva, già presidente del forum giustizia del Pd e ora membro dell'ufficio di presidenza del nuovo gruppo alla Camera: "Siamo nati per occuparci dei problemi del paese, non di Ernesto Carbone. La diffida all'uso di un nome completamente diverso da quello oggetto del presunto plagio e di un simbolo che neppure c'è ancora fa sorridere. Se poi hanno tutta questa voglia di andare in tribunale, ci troveranno preparati". Una risposta più secca era arrivata prima dall'ex Sel Arturo Scotto, che a Un Giorno da Pecora ha semplicemente detto "ciaone" alle lamentele di chi si ritiene titolare del nome "incriminato".
Al di là dei commenti dei soggetti coinvolti nella vicenda, si deve premettere - come ho avuto modo di dire domenica a TgCom24, in una breve intervista telefonica - che, se Carbone e gli altri risultano titolari del soggetto giuridico-politico Democratici progressisti, hanno titolo per fare ciò che stanno facendo. Certamente avevano diritto di tutelarsi, a prescindere da chi fosse stato dietro al nome conteso; altrettanto certamente era difficile pensare che, disponendo anche di questo strumento, non lo utilizzassero per rendere meno agevole il cammino agli ex compagni di partito. E' pur vero che nessuno può avere l'esclusiva su aggettivi come "democratico" o "progressista", considerati di uso comune in politica, così come "Movimento democratico e progressista" effettivamente è diverso da "Democratici progressisti" ed entrambi sono qualificabili come segni distintivi "deboli", proprio per l'uso di termini di uso comune; il fatto però che l'associazione esistente sia parte del Pd e quegli aggettivi siano proposti nello stesso ordine, aumenta la confondibilità. Un diverso ordine delle parole, peraltro, non metterebbe al sicuro da azioni legali e da decisioni sfavorevoli: basta ricordare in breve il caso dei Popolari liberali di Carlo Giovanardi, che si videro citare dall'associazione culturale Liberal Popolari di Roma e in tribunale ebbero la peggio, perché il nome fu considerato confondibile.
Non basta: il sito fermato da Speranza e compagni (registrato a nome del web designer Daniele Votta) è www.democraticiprogressisti.it, senza la "e", che invece è presente in un altro dominio - www.democraticieprogressisti.it, registrato a nome Gianluca Galli - che in copertina ha sempre un articolo 1, ma stavolta della legge n 1261/1965, che definisce scopi e conformazione dell'indennità da corrispondere ai parlamentari: il domain name identico al nome della lista/gruppo calabrese certamente peggiora le cose.
Varie testate - a partire dall'Huffington Post - oggi hanno scritto che Carbone, assieme al deputato Ferdinando Aiello e a Giuseppe Giudiceandrea, hanno fatto inviare dall'avvocato Valerio Zicaro una lettera, indirizzata ai presidenti delle Camere e ai nuovi capigruppo del Movimento dei democratici e progressisti, Francesco Laforgia e Maria Cecilia Guerra, con cui si invita a "modificare la denominazione" dei gruppi parlamentari, al momento unico soggetto esistente come reale proiezione della forza politica in costruzione (e sul quale è piuttosto difficile agire giudizialmente, visto che la denominazione dei gruppi può essere considerato un atto interno, su cui i giudici non hanno giurisdizione).
Nella lettera si legge che Carbone, Aiello e Giudiceandrea sono "rappresentanti e titolari del movimento e del gruppo politico Democratici Progressisti, facente parte, a pieno titolo, del Partito Democratico", movimento che - come già ricordato in questo sito - ha presentato liste alle elezioni regionali calabresi del 2014, eleggendo tre consiglieri, compreso Giudiceandrea che è presidente del relativo gruppo consiliare. Su queste basi, per gli scriventi sarebbe "evidente [...] che la denominazione del nuovo gruppo parlamentare [...] e la sua, eventuale, utilizzazione, anche al di fuori del Parlamento, si palesa illegittima giacché contiene il nome ed il contrassegno di un movimento e di un gruppo politico già esistente e presente nelle istituzioni rappresentative". Il nome, dunque, mancherebbe di capacità distintiva e di novità, essendo "palesemente confondibile con il corrispondente nome del movimento esistente e riproduttivo dei suoi elementi caratterizzanti": Speranza e gli altri dovrebbero quindi modificare il nome e non usare più quello adottato da pochi giorni, altrimenti partiranno azioni legali "in ogni sede".
Non si è naturalmente fatta attendere la risposta di Mdp, attraverso Danilo Leva, già presidente del forum giustizia del Pd e ora membro dell'ufficio di presidenza del nuovo gruppo alla Camera: "Siamo nati per occuparci dei problemi del paese, non di Ernesto Carbone. La diffida all'uso di un nome completamente diverso da quello oggetto del presunto plagio e di un simbolo che neppure c'è ancora fa sorridere. Se poi hanno tutta questa voglia di andare in tribunale, ci troveranno preparati". Una risposta più secca era arrivata prima dall'ex Sel Arturo Scotto, che a Un Giorno da Pecora ha semplicemente detto "ciaone" alle lamentele di chi si ritiene titolare del nome "incriminato".
Al di là dei commenti dei soggetti coinvolti nella vicenda, si deve premettere - come ho avuto modo di dire domenica a TgCom24, in una breve intervista telefonica - che, se Carbone e gli altri risultano titolari del soggetto giuridico-politico Democratici progressisti, hanno titolo per fare ciò che stanno facendo. Certamente avevano diritto di tutelarsi, a prescindere da chi fosse stato dietro al nome conteso; altrettanto certamente era difficile pensare che, disponendo anche di questo strumento, non lo utilizzassero per rendere meno agevole il cammino agli ex compagni di partito. E' pur vero che nessuno può avere l'esclusiva su aggettivi come "democratico" o "progressista", considerati di uso comune in politica, così come "Movimento democratico e progressista" effettivamente è diverso da "Democratici progressisti" ed entrambi sono qualificabili come segni distintivi "deboli", proprio per l'uso di termini di uso comune; il fatto però che l'associazione esistente sia parte del Pd e quegli aggettivi siano proposti nello stesso ordine, aumenta la confondibilità. Un diverso ordine delle parole, peraltro, non metterebbe al sicuro da azioni legali e da decisioni sfavorevoli: basta ricordare in breve il caso dei Popolari liberali di Carlo Giovanardi, che si videro citare dall'associazione culturale Liberal Popolari di Roma e in tribunale ebbero la peggio, perché il nome fu considerato confondibile.
Non basta: il sito fermato da Speranza e compagni (registrato a nome del web designer Daniele Votta) è www.democraticiprogressisti.it, senza la "e", che invece è presente in un altro dominio - www.democraticieprogressisti.it, registrato a nome Gianluca Galli - che in copertina ha sempre un articolo 1, ma stavolta della legge n 1261/1965, che definisce scopi e conformazione dell'indennità da corrispondere ai parlamentari: il domain name identico al nome della lista/gruppo calabrese certamente peggiora le cose.
E se in trasmissione avevo suggerito di utilizzare come nome "Articolo 1", nemmeno questa ipotesi pare percorribile: il Fatto Quotidiano, infatti, dà conto della posizione di Alessandro La Cava, presidente di Art.1 - Autonomia e libertà, associazione nata nel 2010 da vari membri messinesi del Movimento per l'autonomia di Raffaele Lombardo. Intervistato dalla testata online, infatti, La Cava si è detto pronto a presentare "ricorso in ogni sede nei confronti degli scissionisti del Pd che hanno chiamato il nuovo loro soggetto politico come il nostro”. Facile intuire che Speranza e gli altri non avrebbero mai utilizzato come simbolo una rosa dei venti che punta a Sud, come il gruppo messinese, così come non avrebbe ricalcato l'emblema usato in Calabria, ma a questo punto la grana si fa decisamente più pesante. Sapendo che trovare una combinazione non utilizzata prima e che non faccia rischiare carte bollate diventa sempre più difficile.
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