Le divisioni, le scissioni, le fratture sono da sempre un fenomeno doloroso, per la quantità di litigi, scontri, silenzi e accuse che portano con sé; quando, poi, la ripetizione di questo fenomeno tra i seguaci di un'idea politica è tanto frequente da permettere di parlare di una diaspora, è quasi inevitabile che un militante autentico, voltandosi e guardando tutta la strada lasciata alle spalle, provi per le ferite vecchie e nuove e per i compagni di viaggio persi una sensazione che varia dalla tristezza al dolore, fino alla rassegnazione, mitigata solo dalla ferma convinzione delle proprie idee.
Quanto detto vale per qualunque idea politica, dunque anche tra i socialisti d'Italia. Tra di loro si chiamano ancora "compagni", eppure è persino difficile tenere il conto delle scissioni e spaccature che hanno interessato quell'area politica. "Il socialismo non può morire: finché ci saranno ingiustizie nel mondo, ci sarà un socialista pronto a battersi contro di esse. Ma le organizzazioni umane, i partiti politici che nel corso della storia se ne sono intestati gli ideali, quelli sì, possono sgretolarsi". E' l'amara consapevolezza di Ferdinando Leonzio, classe 1939, già professore e da tempo emigrato in Slovacchia, che non ha mai perso l'interesse e la passione per la ricerca storica, anche locale (si è occupato a lungo del suo paese, Lentini). Autore di articoli per varie testate - tra cui Avanti! (cui continua a collaborare, di quando in quando, nella sua versione online) e L'Ora - ha scritto anche una decina di libri. L'editore siciliano ZeroBook ha da poco ripubblicato La diaspora del socialismo italiano, che di quella storia di cui Leonzio si sente pienamente parte cerca di raccontare le varie vicende, per quanto dolorose, con ottima volontà nel non voler smarrire il filo (ovviamente rosso, come si vede anche dalla copertina) che le lega tutte.
Leonzio, nel suo libro, parte da una considerazione: "Mentre un popolo, anche se diviso, conserva, in qualunque parte del mondo, i suoi immutati tratti etnici e culturali, le divisioni nel campo socialista hanno comportato mutamenti assai profondi nei diversi raggruppamenti che ne sono scaturiti". Il che, a ben guardare, è la smentita - altrettanto amara - dell'idea che la riunificazione sotto un'unica bandiera di tutti i movimenti socialisti rimasti sarebbe possibile e ridarebbe forza all'idea: "chi ha scelto la destra dello schieramento politico non può dirsi socialista se non forzando la Storia" sottolinea con risolutezza Leonzio, citando Turi Lombardo e Ottaviano Del Turco.
Non era strettamente questo il caso della prima, fragorosa scissione evocata nel libro, quella di Palazzo Barberini e datata 1947: da lì nacquero i socialdemocratici (prima come Partito socialista dei lavoratori italiani, poi come Partito socialista democratico italiano) e rimasero legati per oltre quattro decenni al loro sole nascente, anche se - secondo l'autore - Giuseppe Saragat e altri fuoriusciti "da destra", avendo un po' di pazienza, avrebbero potuto conquistare il partito senza indebolirlo uscendone.
Il volume di Leonzio, tuttavia, sceglie di concentrarsi soprattutto sulle fratture dell'ultimo quarto di secolo, seguite al terremoto politico generato - non solo in area socialista - dalle inchieste sulle tangenti. Se l'autore aveva già analizzato ancora più nel dettaglio quel periodo - concentrandosi soprattutto sulle varie figure che lo hanno animato - nell'ancor più monumentale lavoro dedicato a Segretari e leader del socialismo italiano (pubblicato sempre da ZeroBook), in questo caso la ricostruzione si focalizza soprattutto sulle diverse formazioni nate in seguito all'implosione del Psi, sciolto per inchieste, ma soprattutto per debiti.
Il volume si fa carico, per ogni scissione, di ricostruire con buona precisione (corroborata dalla passione di chi, all'ideale socialista, non ha mai smesso di credere) il percorso che ha portato a ogni frattura o comunque alla nascita di una nuova formazione: ci sono date, dati legati ai congressi, alle elezioni e alla rappresentanza parlamentare, e naturalmente tanti nomi, alcuni ben presenti nella memoria, altri scoloriti e fissati dal'autore nel testo prima che svaniscano dal nostro ricordo.
Lo stesso libro, tra l'altro, permette di ricordare che quella della diaspora socialista è stata (anche) una storia "simbolica": ogni volta che è stato possibile, Leonzio ha abbinato al racconto della fondazione di un nuovo partito o movimento l'inserimento del relativo simbolo e altrettanto ha fatto quando quelle compagini decidevano di cambiarlo o di modificarlo per le elezioni; fa piacere segnalare che l'autore ha indicato anche questo sito come fonte di quegli emblemi o per altre notizie legate alla diaspora socialista.
Il racconto di Leonzio si spinge fino a tempi recentissimi, fino al 2016 e ai nuovi soggetti nati negli ultimi anni (dai Riformisti italiani a Risorgimento socialista a Convergenza socialista), con l'amara constatazione che il tasso di litigiosità non era diminuito rispetto al passato, ma a differenza che nei decenni precedenti "nel 2015 si lavorava alla divisione dell'atomo, verso operazioni di cui forse i telegiornali non avrebbero neanche parlato".
Il presente, e anche il passato prossimo, sembra un tempo in cui il socialismo, assunto schietto, senza essere mescolato con altro, non va più di moda: "Sono rimasti in pochi, almeno in Italia, a definirsi semplicemente socialisti - rileva Leonzio verso la fine -. I più si dichiarano socialdemocratici, socialisti democratici, socialisti liberali, liberalsocialisti, socialriformisti. Come se il socialismo avesse bisogno di aggettivi!". L'autore, evidentemente, appartiene alla ristretta, ma convinta schiera di coloro che si definiscono "socialisti e basta", "semplicemente socialisti" (niente aggettivi) e che vorrebbero contare su un partito che non rinunci alla propria identità e, magari, accetti la sfida di concorrere alle elezioni con il proprio simbolo, che sia il garofano di ieri o le varie versioni della rosa di oggi. Tutto, in fondo, per Leonzio si riassume in un'antica frase di Pertini, in ogni caso ancora attuale: "I giovani non hanno bisogno di sermoni: hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo". Riguarda innanzitutto le persone, ma anche le formazioni in cui militano: presentarsi con il proprio nome e le proprie insegne, in fondo, è un grande esercizio di coerenza.
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