Si fa per ridere, ma non troppo... |
Non ci sarebbe nulla di strano in sé in questo scenario: gli esponenti dell'Udc si qualificano come democristiani da sempre, proprio come Rotondi. Fa pensare, almeno un po', il fatto che proprio Berlusconi possa parlare di "ritorno dello scudo crociato sulla scheda elettorale", visto che in effetti non se n'è mai andato, almeno a livello nazionale: nessuno lo sa meglio di lui, visto che nelle elezioni dal 1996 al 2006 i simboli con lo scudo crociato - prima il cartello Ccd-Cdu (1996-2001), poi l'Udc - sono sempre stati nell'area del centrodestra, mentre nel 2008 la corsa dell'Udc è stata solitaria e nel 2013 ciò che restava dell'antico simbolo è finito a sostegno del progetto di Mario Monti.
Perché allora parlare di ritorno? La chiave, probabilmente, sta in alcune parole pronunciate da Gianfranco Rotondi qualche settimana fa: "Non vi è nessun ostacolo giuridico alla ripresentazione elettorale della Democrazia Cristiana. Anche l'ultima sentenza del mese scorso ribadisce il diritto amministrativo al preuso del nome da parte mia e del simbolo da parte dell on. Cesa. Unire nome e simbolo è un occasione storica che il presidente Berlusconi considera importante. Le nostre liste saranno aperte a tutti, anche a chi si è contrapposto a noi in Tribunale". L'idea, dunque, sarebbe di riproporre qualcosa di (almeno) graficamente simile alla Dc, unendo il simbolo utilizzato dall'Udc e il nome che Rotondi ha utilizzato per il suo partito precedente, Democrazia cristiana per le autonomie. Il tutto, naturalmente, con la "benedizione" di Silvio Berlusconi, che nei collegi uninominali potrebbe avere bisogno anche della percentuale di questa lista, lui che - potendo - ha sempre preferito avere lo scudo crociato dalla sua che altrove.
Il punto che però più interessa i veri drogati di politica è un altro: di quale sentenza parlava e parla Rotondi? Lui il 16 ottobre aveva dichiarato "Mi è stata notificata una sentenza di Appello, che inibisce l’uso del nome Democrazia cristiana a uno dei tanti movimenti, che lo hanno rivendicato. Il preuso ed i patti sottostanti per i Giudici di Secondo Grado confermano il nostro diritto all'uso del nome del partito"; giusto qualche giorno dopo, interpellato dal Mattino, ha rincarato la dose dicendo che "una sentenza della Corte di Appello stabilisce che il nome è nostro. Se alla vigilia delle elezioni arriva una sentenza del genere, io sospetto che sia un segno della provvidenza". Sulla concezione di provvidenza di Rotondi non è il caso di esprimersi; sulla sua abilità a creare partiti a distanza sufficiente dalle elezioni, ma utili (anzi utilissimi) al momento delle elezioni per creare liste o federarsi con le formazioni berlusconiane per farsi candidare ed eleggere non si discute.
Resta da capire, appunto, di quale sentenza si stia parlando: finora non è girato nulla, anche se le poche notizie disponibili permetterebbero di dire che probabilmente il titolo che ritiene di avere in mano Rotondi è meno potente del dichiarato. L'aspetto merita di essere approfondito; intanto, però, c'è da registrare l'ennesimo ritorno di "voglia di scudo crociato" che non ha mai abbandonato Rotondi (va riconosciuto), ma ciclicamente riconquista Berlusconi. Anche a non voler rifare la Dc, non ci sarebbe nulla di strano se un vecchio simbolo berlusconiano (come quello del Pdl, magari con un nome dal gusto ancora più antico, come "Polo libertà") venisse abbinato allo scudo crociato: magari ci sta anche Mastella e il gioco è fatto, con qualche punto percentuale utile da portare a casa e - se ci scappa - qualche posto qua e là.
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