"Non moriremo democristiani": la frase di Luigi Pintor, piazzata come titolo sul manifesto dopo le elezioni politiche del 1983 - nelle quali la Dc era calata di molto - la conoscono di certo. Fosse per loro, però, la si dovrebbe leggere al contrario: democristiani, non moriremo. Non si spiega diversamente il fatto che sei giorni fa, a Roma, in via Gioberti 54, un gruppo di persone si sia incontrato per cercare, per l'ennesima volta, la strada che porti "al termine di un percorso definito e certo, alla celebrazione di un congresso unitario della Democrazia cristiana". Una strada che, secondo i partecipanti, passa attraverso la federazione di varie realtà.
Questo auspicio i frequentatori delle cronache politiche e di questo sito l'hanno letto un numero imprecisato di volte, con i promotori sempre pronti a precisare che "questa è la volta buona" e con i tentativi puntualmente destinati a sbriciolarsi per mancanza di solidità o per lo scontro con ostacoli giudiziari. Scorrere l'elenco dei partecipanti, tuttavia, è sempre interessante, visto che molti nomi sono ricorrenti da un tentativo all'altro: fare l'appello e vedere chi c'è o chi manca è significativo.
Promotrice dell'incontro del 5 luglio è stata l'Associazione iscritti alla Democrazia cristiana del 1993, gruppo attivo almeno dall'inizio degli anni 2000 e guidato da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, nomi non nuovi in questa vicenda. Cerenza ha partecipato a molte cause che hanno riguardato le formazioni intente a far valere o difendere il loro (preteso) diritto a utilizzare nome e simbolo della Dc senza essere disturbate (figurava, tra l'altro, tra i ricorrenti che avevano fatto dichiarare nullo il primo percorso che nel 2012 aveva riattivato il partito di cui era divenuto segretario Gianni Fontana). Sempre lui con De Simoni, soprattutto, ha cercato in ogni sede - più che di avallare la correttezza di questo o di quel percorso politico - di tutelare "l'ultima Dc", quella cioè che a gennaio del 1994, dopo il cambio di nome in Partito popolare italiano (e con l'ultimo tesseramento effettuato nel 1993), sarebbe entrata in un limbo: avrebbe continuato a esistere sul piano giuridico, ma se ne sarebbero perse le tracce, soprattutto dal punto di vista del patrimonio che i soggetti politici dichiaratisi successori della Dc avrebbero continuato a gestire ma - sempre a detta di Cerenza - senza averne alcun titolo.
Questo auspicio i frequentatori delle cronache politiche e di questo sito l'hanno letto un numero imprecisato di volte, con i promotori sempre pronti a precisare che "questa è la volta buona" e con i tentativi puntualmente destinati a sbriciolarsi per mancanza di solidità o per lo scontro con ostacoli giudiziari. Scorrere l'elenco dei partecipanti, tuttavia, è sempre interessante, visto che molti nomi sono ricorrenti da un tentativo all'altro: fare l'appello e vedere chi c'è o chi manca è significativo.
Promotrice dell'incontro del 5 luglio è stata l'Associazione iscritti alla Democrazia cristiana del 1993, gruppo attivo almeno dall'inizio degli anni 2000 e guidato da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, nomi non nuovi in questa vicenda. Cerenza ha partecipato a molte cause che hanno riguardato le formazioni intente a far valere o difendere il loro (preteso) diritto a utilizzare nome e simbolo della Dc senza essere disturbate (figurava, tra l'altro, tra i ricorrenti che avevano fatto dichiarare nullo il primo percorso che nel 2012 aveva riattivato il partito di cui era divenuto segretario Gianni Fontana). Sempre lui con De Simoni, soprattutto, ha cercato in ogni sede - più che di avallare la correttezza di questo o di quel percorso politico - di tutelare "l'ultima Dc", quella cioè che a gennaio del 1994, dopo il cambio di nome in Partito popolare italiano (e con l'ultimo tesseramento effettuato nel 1993), sarebbe entrata in un limbo: avrebbe continuato a esistere sul piano giuridico, ma se ne sarebbero perse le tracce, soprattutto dal punto di vista del patrimonio che i soggetti politici dichiaratisi successori della Dc avrebbero continuato a gestire ma - sempre a detta di Cerenza - senza averne alcun titolo.
Il Cdu, quando c'era Rotondi |
La Dc-Sandri |
La Dc-Fontana alle ultime elezioni |
Il Movimento politico Libertas |
La soluzione individuata sarebbe la federazione tra i vari soggetti, "per non buttar via il lavoro che ogni singola associazione ha svolto in questi anni", come segnalato da Angelo Sandri: costituire un'associazione implicherebbe lo scioglimento dei vari gruppi che dovrebbero confluire nel nuovo ente e l'idea non piace a nessuno, mentre la federazione consentirebbe a tutti di mantenere la propria soggettività. L'osservazione ha un senso sul piano politico, ma giuridicamente non ha nessun valore: che si tratti di associazione in cui confluire o di federazione cui aderire, si è sempre di fronte alla costituzione di un nuovo soggetto giuridico che, per il diritto civile, è comunque un'associazione.
La Dc-Piccoli del 1998 |
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La riunione si è chiusa con l'impegno a "superare le storiche divisioni e dar vita a un solo Partito unitario nuovamente denominato Democrazia cristiana", proponendo la stessa cosa al principale interlocutore, l'Udc. E, per "semplificare le sigle", è stata accolta la proposta di Franco De Simoni di affidare il coordinamento politico della federazione a Rotondi, con il compito principale di dialogare con l'Udc e la Dc-Fontana ("un apporto fondamentale"), "fino allo svolgimento del prossimo Congresso Unitario Nazionale" che i partecipanti sperano di celebrare entro l'anno.
Nella stessa riunione è stata sottoscritta dai presenti una bozza di atto costitutivo - redatta da Raffaele Cerenza - della stessa federazione, di cui si dice all'art. 1 che è "costituita fra soggetti che sono in continuità ideale con la Democrazia Cristiana storica"; la continuità giuridica con la Dc "in sonno" dal 1994 sarebbe "garantita dalla adesione e dalla presenza degli iscritti alla Democrazia Cristiana nel 1993" così come stabilito dalle decisioni culminate con la sentenza del 2010 della Corte di cassazione. Compito principale e fondamentale di quel soggetto giuridico, si legge sempre nell'atto costitutivo, sarebbe "il recupero del nome e del simbolo della Democrazia Cristiana storica", compiendo tutti i passi necessari a ciò.
La natura di federazione emerge dall'art. 2, in cui si precisa che tutti i movimenti che fanno o faranno parte della nuova associazione "conserveranno la propria autonomia di azione, ma contemporaneamente si impegnano a non assumere iniziative che possano entrare in contrasto con le attività e le decisioni degli organismi della associazione Democrazia Cristiana", potendosi tra l'altro presentare alle elezioni solo con il nome e il simbolo della Dc.
E proprio la disposizione sui segni identificativi del partito risulta interessante: all'art. 5 si legge che essi sono "patrimonio comune dell'Associazione" e che il simbolo, ove l'associazione fosse sciolta, "non potrà essere oggetto di uso da parte degli odierni associati, salvo quelli che ne hanno titolo giuridico" (cioè evidentemente l'Udc, se entrasse a far parte dell'associazione, ma c'è da scommettere che chi l'ha usato finora non mollerebbe la presa).
Come statuto, si è scelto di adottare - volendo parlare di continuità giuridica - l'ultimo che la Dc abbia avuto, con le modifiche approvate dal consiglio nazionale nella seduta del 9 e 10 gennaio 1992; nella "fase transitoria", di durata non meglio precisabile ora, il partito sarà gestito dall'Ufficio di presidenza (triennale, rinnovabile), composto dai soci costituenti dell'associazione, all'interno del quale si dovrà individuare il segretario amministrativo che del soggetto giuridico avrà la rappresentanza legale e processuale.
Nessuno può dire quanti passi farà questo progetto e quanta voglia avrà l'Udc di seguire la strada proposta da Rotondi: di certo, se Cesa e gli altri compagni di partito non accetteranno il matrimonio proposto dalla federazione, rivendicare lo scudo crociato sarà quasi impossibile. C'è ancora tanto, tanto tempo per i colpi di scena: anche per questo, a studiare l'area Dc non ci si annoia mai...
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