Inutile negarlo, anzi, tocca ripeterlo per l'ennesima volta: occuparsi delle vicende legate alla Democrazia cristiana equivale a parlare di una fonte pressoché inesauribile, un filone aurifero (nessun riferimento al patrimonio democristiano, per carità: la pratica ha dimostrato che lo tocca, muore) che consentirà sempre di trovare qualcosa, che si tratti di pepite o di semplici pagliuzze. La nuova puntata, a dire il vero, riguarda innanzitutto il simbolo che fu della Dc, vale a dire lo scudo crociato, ma in seconda battuta si arriva inevitabilmente a parlare della possibilità che sulla scena politica italiana "una" Democrazia cristiana torni ancora, con il suo corredo di inevitabili polemiche sul "come" e sul "chi".
Tutto è iniziato giovedì scorso, il 9 agosto, quando Il Tempo ha pubblicato un'intervista di Pietro De Leo a Gianfranco Rotondi, leader di Rivoluzione cristiana, attualmente incaricato di cercare un dialogo con l'Udc e altre componenti politiche per far tornare operativo un partito con il nome e il simbolo della vecchia Dc. Ma soprattutto, almeno per quanto rileva in questa sede, ultimo tesoriere dei Cristiani democratici uniti, insomma del Cdu, che si scopre essere ancora vivo e vegeto (e non, a dispetto di quanto si può credere, per mano dell'irriducibile Mario Tassone). Tesoriere ancora per poco, in realtà, visto che l'idea è di andare verso la liquidazione.
Così ha dichiarato Rotondi a De Leo:
Allo stesso tempo, la scelta di sciogliere il partito convocando gli ultimi organi in carica, compreso il presidente del consiglio nazionale Mario Tassone, ricorda e chiarisce che quello guidato tuttora dallo stesso Tassone non è il Cdu di cui era segretario Rocco Buttiglione. In effetti, nella prima fase, quella della "rinascita", Tassone aveva proposto ai media - e anche a chi scrive ora - l'idea della riconvocazione del "suo" consiglio nazionale (precisando però che né Buttiglione né Rotondi erano parte di quel disegno) e di riprendere l'uso dello scudo crociato, anche in considerazione del fatto che l'Udc aveva di molto ridotto la sua visibilità dopo aver partecipato al progetto di Mario Monti; già dal 2014, però, era stato adottato un nuovo emblema, con una colomba ad ali spiegate e il nome era diventato Nuovo Cdu. All'inizio si poteva pensare che, a dispetto del cambio di simbolo per evitare nuove grane elettorali e giudiziarie, si trattasse comunque dello stesso soggetto giuridico che aveva sospeso nel 2002 la sua attività politica; evidentemente, però, si dev'essere aperto un partito nuovo, del resto lo stesso sito del Nuovo Cdu parla di "ricostituzione", dunque dev'essere così.
Quanto allo scudo crociato ricevuto "in eredità" dopo la scissione del 1995 all'interno del Ppi, questo è il punto più discutibile. Si tratta, ovviamente, della tesi che Rotondi sostiene da sempre, che giornalisticamente (dunque per una comunicazione breve) può anche avere senso e che conviene soprattutto ai nuovi scenari che lo stesso Rotondi ha in mente; nella realtà, però, le cose sono andate in modo diverso.
Nel ben noto "patto di Cannes" del 24 giugno 1995, infatti, si fa riferimento all'impegno preso da Gerardo Bianco a proporre al congresso del Ppi "di non contendere alla formazione politica dell'on. Buttiglione l'uso del simbolo dello scudo crociato e a non adottare tale simbolo o altro equivalente per la propria formazione politica"; nell'accordo del 14 luglio 1995, che ratificava anche sul piano giuridico quell'intesa, si è scritto che il partito legato a Buttiglione "adotterà quale suo unico simbolo visivo derivato dall'originario comune il disegno allegato che non potrà essere, in qualsiasi occasione d'uso, modificato anche solo in parte, sia nella conformazione grafica (esempio combinazione delle linee, loro intensità, distanze tra le une e le altre, ampiezza di esse, dimensione dei caratteri, ecc.) sia nella colorazione, sia nella intensità delle singole parti cromatiche".
Per gli studiosi di diritto, l'impegno a "non contendere l'uso del simbolo" non significa affatto trasferire all'utilizzatore dell'emblema la proprietà dello stesso; in ugual modo, l'adozione dell'emblema con lo scudo crociato quale "unico simbolo visivo derivato dall'originario comune" riguarda l'uso dello stesso, ma non comporta l'automatico acquisto della proprietà sullo scudo. Questo perché, in quell'accordo di luglio, si ribadisce la "qualità di parti separate del Partito Popolare Italiano" ed è immaginabile che proprio lo scudo crociato facesse parte del patrimonio comune del Ppi - ex Dc, anche in considerazione del fatto che solo dieci giorni dopo quell'accordo - il 24 luglio 1995 - il tribunale di Roma avrebbe emesso la nota ordinanza (c.d. "Macioce-bis") con cui avrebbe instaurato il regime di "co-gestione obbligatoria dei due tesorieri" di Ppi e del futuro Cdu su ogni atto ordinario e straordinario riguardante il patrimonio. Questo senza contare che la sentenza n. 1305/2009 della Corte d'appello di Roma, resa definitiva nel 2010 dalla Cassazione, avrebbe poi precisato che il patto di Cannes del giugno 1995, come l'accordo di luglio che ne è seguito, "non era certamente idoneo a trasferire l'uso di un segno distintivo ma, al più, ad impegnare reciprocamente le sole formazioni politiche che ad esso partecipavano."
Quel regime di co-gestione obbligatoria, che sarebbe dovuto durare pochi mesi, giusto il tempo dell'effettiva e completa separazione dei due partiti e dei loro patrimoni, sarebbe invece durato ben sette anni. Nel frattempo, nella transazione che il 12 ottobre 1999 aveva posto fine a un nuovo processo civile iniziato nel 1995 tra i Popolari di Bianco e quelli di Buttiglione (dopo l'ordinanza Macioce-bis), le due parti - trasformate ormai in Ppi-gonfalone e Cdu - avevano convenuto che entrambe continuavano "ad avere la titolarità del partito della Democrazia cristiana, ivi compreso il nome di Democrazia cristiana [...] ed il noto simbolo dello scudo crociato con la scritta Libertas". Quell'atto, in cui Ppi e Cdu dicono chiaramente che lo scudo crociato è di entrambi - a prescindere dall'uso - è stato firmato anche da Gianfranco Rotondi, proprio in qualità di tesoriere e legale rappresentante del Cdu.
Quando poi - nata ormai l'Udc, iniziate varie cause relative a un possibile risveglio della Dc, prima ad opera di Flaminio Piccoli e poi di Alessandro Duce, e divenuta sempre più onerosa la partita degli immobili da gestire - le parti decisero di arrivare alla definitiva "separazione dei beni", intervenne una scrittura privata datata 5 luglio 2002, anch'essa firmata pure da Rotondi. La parte dispositiva dell'atto inizia in un modo che più chiaro non potrebbe essere: "Nel rispetto dei richiamati atti e ferma la titolarità esclusiva, giuridica, politica e morale, in capo al Ppi ex Dc, il Ppi/Gonfalone conferma al Cdu la possibilità di utilizzare il simbolo della ex Democrazia cristiana, contraddistinto dallo scudo crociato con la scritta 'Libertas'". In quelle poche righe, insomma, si dice chiaramente che al Cdu era confermato l'uso dello scudo crociato, ma non certo la sua titolarità, che rimaneva in capo al Ppi - ex Dc, la cui rappresentanza legale (e la gestione del patrimonio) veniva assunta soltanto dai legali rappresentanti del Ppi-gonfalone (vale a dire Luigi Gilli e Nicodemo Oliverio).
Tutto questo per dire, insomma, che il Cdu non ha ereditato un bel niente, se non la possibilità di usare senza disturbo lo scudo e anche di apportarlo a formazioni riconducibili all'alveo democristiano, come aveva fatto contribuendo a fondare l'Udc. Quel diritto all'uso in ogni caso rimane (almeno fino a nuove deliberazioni del Ppi di cui non si ha notizia) e, per capire come si potrebbe procedere, occorre continuare a leggere l'intervista a Rotondi, che così ha risposto a Pietro De Leo che gli chiedeva se lo scudo crociato sarebbe stato archiviato:
Come nelle migliori tradizioni, le parole di Gianfranco Rotondi hanno provocato reazioni da parti di chi ha in mente tutt'altro percorso per riportare in attività la Democrazia cristiana. Questa volta, in particolare, si dà conto della risposta di Emilio Cugliari, tra coloro che da anni sostengono il tentativo di riattivare la Dc attraverso la richiesta al giudice di convocare l'assemblea dei soci fatta dal 10% degli iscritti in base all'ultimo elenco disponibile. Com'è noto, quella richiesta era stata accolta dal Tribunale di Roma a dicembre e alla fine di febbraio quell'assemblea si era svolta a Roma all'hotel Ergife (Cugliari ne era stato il segretario verbalizzante), portando all'elezione di Gianni Fontana alla presidenza dell'associazione (retta al momento dalle sole norme del codice civile in materia), oltre che al consueto nugolo di polemiche interne, scatenate da chi riteneva sbagliato quel modo di procedere, e all'annuncio di azioni legali, tuttora in corso. Vale la pena precisare che, come già si è detto, lo stesso Fontana guarda con interesse al percorso che ora è guidato da Rotondi (e fortemente voluto da vari gruppi, a partire dall'Associazione iscritti alla Democrazia cristiana del 1993 di Raffaele Cerenza e Franco De Simoni), ma prima di aderire ha detto di dover ottenere il consenso della "sua" Dc.
Di seguito si ospita dunque lo scritto di Cugliari, senza ovviamente che questo sito faccia propri - anche in termini di responsabilità - i suoi contenuti o i suoi toni:
Così ha dichiarato Rotondi a De Leo:
Lo scudo crociato venne ereditato dal Cdu del Professor Rocco Buttiglione nel 1995, per effetto della scissione dal Ppi. Il Cdu, partito che era rimasto vivo in tutti questi anni, dal '99 ha avuto come tesoriere nonché rappresentante legale un certo Gianfranco Rotondi, fiduciario del segretario politico Buttiglione. Quest'ultimo, che come è noto ha scelto di non ricandidarsi quindi è fuori dal Parlamento, ha riunito gli organi, tra cui il sottoscritto, il presidente Tassone, e mi ha dato incarico di liquidarlo.Partiamo dalla fine: se si arriva alla liquidazione, o meglio allo scioglimento dell'associazione partito, è inevitabile che questa debba considerarsi ancora in vita. Che il Cdu avesse continuato a esistere nel corso degli anni era, anche prima della conferma di Rotondi, assai probabile: se il Ccd, partito relativamente piccolo nato nel 1994, aveva continuato a esistere giuridicamente circa fino alla fine del 2010 pur avendo politicamente contribuito a fondare l'Udc nel 2002, si poteva prevedere che il Cdu, essendo stato parte per anni della gestione del patrimonio che era stato della Dc e avendo partecipato a un maggior numero di processi relativi alla complessa vicenda scudocrociata, avrebbe avuto bisogno di più tempo per chiudere le proprie pendenze attive e passive.
Allo stesso tempo, la scelta di sciogliere il partito convocando gli ultimi organi in carica, compreso il presidente del consiglio nazionale Mario Tassone, ricorda e chiarisce che quello guidato tuttora dallo stesso Tassone non è il Cdu di cui era segretario Rocco Buttiglione. In effetti, nella prima fase, quella della "rinascita", Tassone aveva proposto ai media - e anche a chi scrive ora - l'idea della riconvocazione del "suo" consiglio nazionale (precisando però che né Buttiglione né Rotondi erano parte di quel disegno) e di riprendere l'uso dello scudo crociato, anche in considerazione del fatto che l'Udc aveva di molto ridotto la sua visibilità dopo aver partecipato al progetto di Mario Monti; già dal 2014, però, era stato adottato un nuovo emblema, con una colomba ad ali spiegate e il nome era diventato Nuovo Cdu. All'inizio si poteva pensare che, a dispetto del cambio di simbolo per evitare nuove grane elettorali e giudiziarie, si trattasse comunque dello stesso soggetto giuridico che aveva sospeso nel 2002 la sua attività politica; evidentemente, però, si dev'essere aperto un partito nuovo, del resto lo stesso sito del Nuovo Cdu parla di "ricostituzione", dunque dev'essere così.
Quanto allo scudo crociato ricevuto "in eredità" dopo la scissione del 1995 all'interno del Ppi, questo è il punto più discutibile. Si tratta, ovviamente, della tesi che Rotondi sostiene da sempre, che giornalisticamente (dunque per una comunicazione breve) può anche avere senso e che conviene soprattutto ai nuovi scenari che lo stesso Rotondi ha in mente; nella realtà, però, le cose sono andate in modo diverso.
Primo simbolo del Cdu |
Per gli studiosi di diritto, l'impegno a "non contendere l'uso del simbolo" non significa affatto trasferire all'utilizzatore dell'emblema la proprietà dello stesso; in ugual modo, l'adozione dell'emblema con lo scudo crociato quale "unico simbolo visivo derivato dall'originario comune" riguarda l'uso dello stesso, ma non comporta l'automatico acquisto della proprietà sullo scudo. Questo perché, in quell'accordo di luglio, si ribadisce la "qualità di parti separate del Partito Popolare Italiano" ed è immaginabile che proprio lo scudo crociato facesse parte del patrimonio comune del Ppi - ex Dc, anche in considerazione del fatto che solo dieci giorni dopo quell'accordo - il 24 luglio 1995 - il tribunale di Roma avrebbe emesso la nota ordinanza (c.d. "Macioce-bis") con cui avrebbe instaurato il regime di "co-gestione obbligatoria dei due tesorieri" di Ppi e del futuro Cdu su ogni atto ordinario e straordinario riguardante il patrimonio. Questo senza contare che la sentenza n. 1305/2009 della Corte d'appello di Roma, resa definitiva nel 2010 dalla Cassazione, avrebbe poi precisato che il patto di Cannes del giugno 1995, come l'accordo di luglio che ne è seguito, "non era certamente idoneo a trasferire l'uso di un segno distintivo ma, al più, ad impegnare reciprocamente le sole formazioni politiche che ad esso partecipavano."
Quel regime di co-gestione obbligatoria, che sarebbe dovuto durare pochi mesi, giusto il tempo dell'effettiva e completa separazione dei due partiti e dei loro patrimoni, sarebbe invece durato ben sette anni. Nel frattempo, nella transazione che il 12 ottobre 1999 aveva posto fine a un nuovo processo civile iniziato nel 1995 tra i Popolari di Bianco e quelli di Buttiglione (dopo l'ordinanza Macioce-bis), le due parti - trasformate ormai in Ppi-gonfalone e Cdu - avevano convenuto che entrambe continuavano "ad avere la titolarità del partito della Democrazia cristiana, ivi compreso il nome di Democrazia cristiana [...] ed il noto simbolo dello scudo crociato con la scritta Libertas". Quell'atto, in cui Ppi e Cdu dicono chiaramente che lo scudo crociato è di entrambi - a prescindere dall'uso - è stato firmato anche da Gianfranco Rotondi, proprio in qualità di tesoriere e legale rappresentante del Cdu.
Quando poi - nata ormai l'Udc, iniziate varie cause relative a un possibile risveglio della Dc, prima ad opera di Flaminio Piccoli e poi di Alessandro Duce, e divenuta sempre più onerosa la partita degli immobili da gestire - le parti decisero di arrivare alla definitiva "separazione dei beni", intervenne una scrittura privata datata 5 luglio 2002, anch'essa firmata pure da Rotondi. La parte dispositiva dell'atto inizia in un modo che più chiaro non potrebbe essere: "Nel rispetto dei richiamati atti e ferma la titolarità esclusiva, giuridica, politica e morale, in capo al Ppi ex Dc, il Ppi/Gonfalone conferma al Cdu la possibilità di utilizzare il simbolo della ex Democrazia cristiana, contraddistinto dallo scudo crociato con la scritta 'Libertas'". In quelle poche righe, insomma, si dice chiaramente che al Cdu era confermato l'uso dello scudo crociato, ma non certo la sua titolarità, che rimaneva in capo al Ppi - ex Dc, la cui rappresentanza legale (e la gestione del patrimonio) veniva assunta soltanto dai legali rappresentanti del Ppi-gonfalone (vale a dire Luigi Gilli e Nicodemo Oliverio).
Tutto questo per dire, insomma, che il Cdu non ha ereditato un bel niente, se non la possibilità di usare senza disturbo lo scudo e anche di apportarlo a formazioni riconducibili all'alveo democristiano, come aveva fatto contribuendo a fondare l'Udc. Quel diritto all'uso in ogni caso rimane (almeno fino a nuove deliberazioni del Ppi di cui non si ha notizia) e, per capire come si potrebbe procedere, occorre continuare a leggere l'intervista a Rotondi, che così ha risposto a Pietro De Leo che gli chiedeva se lo scudo crociato sarebbe stato archiviato:
Non esattamente. E' stato deliberato che se si dà vita ad un partito unico dei democristiani rimasti in campo, con l'unione dell'Udc e di Rivoluzione cristiana e di altre formazioni, un progetto che è in gestazione ed è condiviso anche dall'onorevole Cesa, allora il simbolo sarà riutilizzato per quello. Poi c'è anche un "piano B". [...] Se, per le imprevedibili variabili della politica, questo partito non si riuscisse a fare, allora lo scudo crociato finirà in una fondazione che è già stata individuata ma è tenuta riservata, che comunque ne farà un uso sempre pubblico, ma non politico. E' già stato deciso tutto.Si tratta, ovviamente, del richiamo a un progetto di cui qui si è parlato più volte, a partire dall'idea di Rotondi di unire le forze di chi finora ha visto riconosciuto l'uso dello scudo crociato come simbolo (l'Udc, che poteva vantare l'apporto ad opera del Cdu di Rotondi) e di chi ritiene di essersi vista riconoscere la titolarità del nome "Democrazia cristiana" (lo stesso Rotondi, che in realtà anche qui può vantare soltanto la legittimità dell'uso). Non è dato sapere se e come quel progetto andrà avanti, anche se è sempre Rotondi ad assicurare che "giuridicamente è tutto fatto": se ne prende atto, ma qualche dubbio è lecito averlo.
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Come nelle migliori tradizioni, le parole di Gianfranco Rotondi hanno provocato reazioni da parti di chi ha in mente tutt'altro percorso per riportare in attività la Democrazia cristiana. Questa volta, in particolare, si dà conto della risposta di Emilio Cugliari, tra coloro che da anni sostengono il tentativo di riattivare la Dc attraverso la richiesta al giudice di convocare l'assemblea dei soci fatta dal 10% degli iscritti in base all'ultimo elenco disponibile. Com'è noto, quella richiesta era stata accolta dal Tribunale di Roma a dicembre e alla fine di febbraio quell'assemblea si era svolta a Roma all'hotel Ergife (Cugliari ne era stato il segretario verbalizzante), portando all'elezione di Gianni Fontana alla presidenza dell'associazione (retta al momento dalle sole norme del codice civile in materia), oltre che al consueto nugolo di polemiche interne, scatenate da chi riteneva sbagliato quel modo di procedere, e all'annuncio di azioni legali, tuttora in corso. Vale la pena precisare che, come già si è detto, lo stesso Fontana guarda con interesse al percorso che ora è guidato da Rotondi (e fortemente voluto da vari gruppi, a partire dall'Associazione iscritti alla Democrazia cristiana del 1993 di Raffaele Cerenza e Franco De Simoni), ma prima di aderire ha detto di dover ottenere il consenso della "sua" Dc.
Di seguito si ospita dunque lo scritto di Cugliari, senza ovviamente che questo sito faccia propri - anche in termini di responsabilità - i suoi contenuti o i suoi toni:
Il caro on. Gianfranco Rotondi, ex Dc, o è disinformato o è in malafede, ma sia nell'uno che nell'altro caso parla a sproposito e non si rende conto delle sciocchezze che dice. Io capisco tutto, capisco anche che l’on. Gianfranco Rotondi, in questa fase politica non se lo fila nessuno ed ha bisogno e cerca in un modo come un altro di avere visibilità a qualunque costo e con qualunque mezzo; parlare della storica Democrazia Cristiana fa sempre un certo effetto. L’on. Rotondi sa però perfettamente che, per effetto dei tre gradi di giudizio egli è erede del nulla, men che meno del simbolo e del nome della gloriosa Democrazia Cristiana.L’on. Gianfranco Rotondi è un ex Dc "disertore", nel senso che nei momenti di difficoltà (Tangentopoli) non ha esitato un attimo ad abbandonare il Patito per andare a trovarsi un posto al sole in altri lidi. Oggi, senza vergogna alcuna, si riscopre Democratico cristiano e vuole fare il salvatore della Patria per dire a Berlusconi che gli porta la Democrazia cristiana.Non è così: la Democrazia Cristiana, dopo oltre 16 anni trascorsi nelle aule di Tribunale e 7 anni circa di ulteriori vicissitudini, è pronta per andare a Congresso, presumibilmente, il 29 Settembre prossimo. L’on. Rotondi, or che la tavola è imbandita e Forza Italia è in difficoltà, è pronto a sedersi a tavola e - non solo - vuole un posto di comando decisionale. Beh l’on. Rotondi non ha capito nulla: la Democrazia Cristiana non gli appartiene e per fortuna lui non la rappresenta. Lui dovrebbe sapere che un vecchio adagio recita "Dove hai fatto l'estate, vai a fare l'inverno".L’on. Rotondi, inseguito da qualche millantatore ex Dc oggi non iscritto, pensa di poter prendere in mano il timone della Democrazia Cristiana, ma sbaglia tutto: la Democrazia cristiana il suo timoniere ce l’ha e si chiama Gianni Fontana.Quando l'on. Rotondi o chiunque altro vorrà un sereno confronto pubblico, per disquisire sulla quaestio, sarò a disposizione. So, e lo do per certo, che non lo farà mai, sono troppe le risposte che dovrebbe dare. Faccio presente che l'on. Gianfranco Rotondi fa parte ora di Rivoluzione cristiana, nata dopo che gli è stato notificato l’atto di significazione stragiudiziale avente per oggetto "l’adempimento degli obblighi civili derivante dal provvedimento del Giudice". L'on. Gianfranco Rotondi oggi non è un iscritto della Democrazia cristiana, mi domando quindi di cosa stiamo parlando. Dopo il Congresso nazionale, se vorrà farne parte, come chiunque altro, presenterà la sua richiesta di iscrizione e, se ci saranno i presupposti, ne riparleremo.
Emilio Cugliari, iscritto Dc dal maggio 1959
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